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Trent'anni di un'Altra Roma
Non sono pochi, trent'anni. A ripensarci, allora ero ancora un baldo ispettore dell'INPS. E il direttore di Dossier, il nostro Carlo Parodi, era ancora presidente di quella bella realtà socio-culturale che si chiamava
Era cominciato come un periodo straordinario della nostra vita, nel quale fiorivano iniziative culturali, caffè letterari, premi poetici, concorsi, concerti. Pubbliche istituzioni, organismi privati, parrocchie concedevano spazi gratuiti per incontri e manifestazioni, e ancora si trovavano finanziatori per le attività sociali.
Primi cellulari:
Nokia, Mobira Cityman 1990
Senza quasi rendercene conto, abbiamo visto cambiare il mondo. Basti pensare che era appena stato abbattuto il muro di Berlino, sgretolando con sé anche il regime che proteggeva. Basti pensare che si stavano abbandonando le classiche, usuali comunicazioni in favore dell'informazione virtuale.
Si cominciava a lavorare sui terminali, e negli uffici i primi elaboratori e le schede perforate sostituivano calcolatrici e fotocopiatrici. Tutto il nostro scibile cominciava ad essere memorizzato su grandi nastri, custoditi nelle misteriose stanze refrigerate dei "centri meccanografici", poi "unità elaborazione dati", poi "centri elettronici". Finita l'epoca delle cabine della Sip e dei gettoni, ecco l'avvento prima timido e poi trionfale dei telefoni cellulari, dai primi grossi e pesanti "mattoni" neri ai minimi gioiellini variopinti e impalpabili, fino ai piatti schermi oggi indispensabili alla comunicazione, all'informazione, alla vita stessa. Sempre più piccolo, sempre più potente, sempre più veloce… ecco come abbiamo vissuti questi trent'anni.
Trent'anni di stress, tutto sommato, equivalenti a tre secoli di una volta. Ma non è stato così veloce il progresso nella scienza delle costruzioni edili: ancora non abbiamo soppiantato il cemento armato, che anzi comincia a dare i suoi problemi. Ne avevano previsto una durata probabile di cento anni, quando costruirono col sistema Hennebique l'avveniristico ponte del Risorgimento alle Belle Arti: una sola arcata di 100 metri di luce. Era il 1911 e sta ancora lì, intatto. Viadotti di trent'anni fa, invece, vengono giù con un po' di pioggia. Gli antichi costruttori romani sghignazzano nelle loro tombe e le loro anime si librano sopra i ponti, gli acquedotti, i monumenti, i palazzi edificati con il calcestruzzo di pozzolana e calce, con il tufo, il travertino e i mattoni, i condotti di cocciopesto e di piombo, che dopo millenni sono ancora lì immarcescibili… e noi qui a saltellare su strade sconnesse, sampietrini mal messi, asfalto che cede, voragini che si aprono, cavalcavia che crollano…
Guardiamoci intorno per vedere i segni dei trent'anni passati. Sono ormai dimenticate le opere austere e gigantesche degli imperatori, le raffinatezze spettacolari dei papi, i capolavori artistici di menti e mani geniali; archiviati gli splendori di Rinascimento e Barocco, chiusa la parentesi delle grigie edificazioni savoiarde postunitarie, obliterati i rinnovati candidi fasti imperiali del Ventennio… Sono passati decenni di oblio architettonico per mancanza di commissionatori, di mecenati, di saggi e colti amministratori disposti ad investire nell'arte piuttosto che nella speculazione edilizia.
Giusto trent'anni fa, si coltivava la speranza di un novello "rinascimento urbano" con l'avvento di un sindaco diverso, nuovo, giovane, dinamico. Ma per comandare occorrono il piglio, l'autorità, la preparazione culturale, che permettano di liberarsi dall'influenza nefasta di quei personaggi ombra che hanno sempre dettato, dietro le quinte, i destini della nostra povera Roma. Gli interessi economici prevalgono sempre sull'estetica, sul buon gusto e il buon senso. E così, invece del rinascimento urbano, abbiamo visto archistar realizzare progetti costati cifre spropositate: nonostante le campagne di protesta di associazioni culturali e ambientali, non si sono potuti impedire scempi architettonici e urbanistici che hanno il solo effetto di attrarre l'immaginario collettivo.
Un declino, una svendita inarrestabile del patrimonio dell'Urbe. Dopo aver regalato alla "comunità islamica" un territorio tra i più preziosi e ambiti della città, trent'anni fa vi si edifica "la più grande moschea d'Europa". Per salvare il verde salvabile, viene presentato dal II Municipio il progetto "Rinascimento urbano Flaminio Parioli", che se realizzato costituirebbe uno spettacolare utilizzo dell'ambiente fluviale nella zona dell'Acqua Acetosa, da Monte Antenne a viale Parioli. Una spettacolare, scenografica fontana da piazza delle Muse scenderebbe digradante fino a un grande parco attraversato dal viale della Moschea. Per la curiosità dei nostri lettori, tra i quali senz'altro si troveranno esperti di architettura e di urbanistica, renderò qualche immagine del "Parco urbano delle Muse" pubblicato dal Gruppo di progettazione, compresa la ristrutturazione dell'antica passeggiata dell'Acqua Acetosa proposta da Francesca Di Castro.
Progetto Rinascimento Urbano,
Parco delle Muse con Fontana
Fonte e Giardino Acqua Acetosa,
progetto Francesca Di Castro
Ristrutturazione Acqua Acetosa,
progetto Francesca Di Castro
Il progetto, nonostante porti la firma di un'autorità mondiale dell'urbanistica come Leon Krier, viene ignorato: altri interessi gravitano sulla pregiata zona, nonostante i vincoli che la proteggono. Il Circolo Canottieri Aniene vi edificherà il suo enorme centro piscine, l'Aquaniene, presentandolo prima come una sua "appendice", poi come una piscina ad uso dei cittadini del Municipio. Oggi potete vederlo e confrontarlo, nell'immaginazione, con quello splendido giardino pubblico che avrebbe invece potuto essere.
Centro Aquaniene
Stadio Olimpico,
detto dei Cipressi o dei Centomila
Stadio Olimpico
detto il Saint-Honorè
Stadio della Pallacorda
Centrale del tennis
Ma nel sacro nome dello sport si può fare di tutto: aggirare qualsiasi vincolo urbanistico e ambientale, come viene fatto dai gestori del Foro Italico, che sarà smembrato e smantellato in ogni sua parte. Giusto trent'anni fa il meraviglioso e storico Stadio Olimpico, detto dei Centomila, con la scusa dei campionati di calcio viene smontato e ricostruito a sembianza di una torta di panna, perdendo le caratteristiche che lo rendevano incomparabile. Sarà soprannominato "il Saint-Honorè". Ma tanto, al tifoso poco o nulla importa della conservazione di un complesso urbanistico unico al mondo: basta che stia comodo a vedere la sua squadra. Vengono chiuse al pubblico altre zone, come il Bar del Tennis, diventato esclusivo ritrovo di VIP. Vengono snaturati i campi da tennis, e, orrore su orrore, vi si innalza un mostro d'acciaio, il Centrale, spacciandolo per smontabile, nonostante sia vietata qualunque elevazione che alteri il verde paesaggismo. Ma c'è chi gongola per il risultato: avere più pubblico ai campionati di tennis, serve per incassare più soldi. Addio, dunque, all'ideale e metafisico paesaggismo del Foro Italico, del quale avevamo celebrato gli ottant'anni dalla fondazione.
Ponte Trovajoli o della Musica
Contemporaneamente sono stati edificati, dopo tanti anni, due nuovi, moderni ponti sul Fiume. Quello della Musica, oggi intitolato a Trovajoli, è decisamente bello, elegante, spettacolare… e assolutamente inutile. Collega la sponda di un quartiere popoloso con quella opposta, deserta. È stato edificato proprio dove fin dagli anni Trenta era previsto un ponte, ma che fosse attraversato da mezzi pubblici e privati collegando Flaminio con Prati. Quello di oggi è solo pedonale: non ha senso, nessuno lo utilizza. Peccato, era importante congiungere il quartiere della Musica con quello dello Sport.
Perché da sempre nel quartiere Flaminio era previsto un Auditorium: era stato inizialmente pensato nel Borghetto Flaminio dietro al Ministero della Marina, ma poi si è optato per la zona sotto la collina dei Parioli, al Villaggio Olimpico. Dopo ripensamenti e infinite peripezie viene inaugurato proprio negli anni '90, ma non certo come era stato presentato. Quelli che nel progetto parevano simpatici maggiolini erano diventati orrendi bacarozzi di lamiera, oggi rugginosa. A parte la questione estetica, sono stati oggetto di critiche per gli accessi del pubblico, hanno avuto necessità di modifiche strutturali per l'acustica sbagliata… ma a Roma si fa l'abitudine anche agli orrori, e oggi anche ai bacarozzi.
Plastico del progetto
Auditorium di Renzo Piano
Bacarozzi dell'Auditorium
realizzato
Maxxi, detto Corazzata
Poco più in là, lasciando in sfacelo due gioielli architettonici come lo Stadio Flaminio e il Palazzetto dello Sport dove trent'anni fa ancora si svolgevano intense attività, incontri e manifestazioni, oggi incombe la mega struttura in calcestruzzo armato grigio, dal lugubre aspetto di corazzata con torretta per i cannoni, chiamata Maxxi e costata un'enormità, estrinsecazione delle "capacità" architettonicamente inventive di una archistar estera.
A un'altra archistar, sempre estera, è stato affidato il compito di distruggere la discreta ed elegante Teca di cristallo del Morpurgo che dal 1938 proteggeva la recuperata Ara Pacis, monumento inestimabile della Romanità. Lo si è fatto per odio ideologico verso le edificazioni di epoca fascista: la famigerata damnatio memoriae. L'architetto americano vi ha fatto edificare, connivente l'autorità capitolina, una enorme bianca "pompa di benzina" che rende denaro per le mostre che ospita, ma deturpa il Lungotevere, il rettilineo di Ripetta (l'antica cinquecentesca via Leonina) e la chiesa di San Rocco. La quale, in compenso, per non essere da meno delle vergogne che la circondano, "vende" oggi la sua facciata per il restauro ad uno sponsor ingioiellato, senza un minimo di dignità.
Teca dell'Ara Pacis,
Morpurgo, 1938
Pompa di benzina
di Meier
Antichissima
Chiesa di San Rocco
Dignità che manca a chi ha permesso che in questi decenni il Mausoleo di Augusto e il circostante giardino fossero trasformati in una pozzanghera mefitica costellata di rifugi, di alcove, di cartonaie, il tutto ben fasciato da eleganti e lucidi manifesti pubblicitari della TIM.
In questi ultimi trent'anni abbiamo lottato aspramente contro la svendita dei nostri beni culturali, contro il degrado di quelli ambientali. Italia Nostra, in prima linea con l'associazione che presiedo, Roma Tiberina, è riuscita ad evitare con immenso impegno lo sventramento del Pincio per farne un parcheggio, l'insensata realizzazione del "sottopasso di Ripetta", l'abbattimento indiscriminato dei platani romani. Non siamo riusciti però a salvare dalla chiusura l'Ospedale di San Giacomo che pure è un bene salvaguardato e protetto per legge. E oggi, ormai, l'incultura dominante non ci assicura alcuna protezione da iniziative scriteriate della pubblica amministrazione, che non permette obiezioni, che non ascolta più.
Velodromo, oggi distrutto
Nuvola
Mi sono sbizzarrito finora solo in pochi esempi, per questioni di spazio: ho glissato sulla distruzione del nostro bellissimo Velodromo, sulle folli spese per la "nuvola" dell'archistar nostrana (impareggiabile ostentazione di megalomania), sui lavori invasivi e sconvolgenti, oltre che costosissimi, per chilometri di piste ciclabili che nessuno percorre mentre auto, moto e colonne vertebrali lasciano i pezzi sulle strade in rovina…
Trent'anni di progresso tecnologico non hanno portato anche il progresso culturale, e lo si vede ogni istante dalla cronaca. Il bilancio non ci è favorevole: è stata dimenticata la Bellezza: quella che era patrimonio inalienabile dell'Urbe Eterna.
Non ci resta che sperare per il futuro, per i prossimi trent'anni e più di vita che auguriamo a Dossier Condominio, che ci accompagni nella vita cittadina come ha fatto puntualmente finora. Auguri!