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Normativa condominio

Normativa condominio

La Normativa e il Condominio

Il servizio di portierato

Il servizio di portierato

Da lungo tempo, oramai, si sostiene che il servizio di portierato è superato ed in quanto tale è andato in soffitta lasciando, come testimonianza di un passato economicamente più florido, le guardiole e le postazioni occupate dal portiere in divisa tristemente vuote.


Addirittura si è scritto, già in una sentenza della Corte di appello di Palermo risalente al lontano 1998, che il servizio di portierato “va gradatamente scomparendo perché non corrisponde più alle esigenze di sicurezza e di decoro”.

Con l’avvento della riforma del condominio l’installazione nelle aree comuni di sistemi di videosorveglianza, posti a sentinella della sicurezza dei condomini nelle sole parti comuni, è stata ufficialmente riconosciuta quale intervento innovativo, da assumere con la maggioranza degli intervenuti all’assemblea che rappresenti la maggioranza dei millesimi (art. 1122ter). Una finalità parzialmente svolta anche dai videocitofoni.

Pur riconoscendo che anche il condominio si deve adeguare al cambiamento dei tempi, sia consentito evidenziare che l’importanza del servizio reso dal portiere, per tutte le mansioni dallo stesso svolte, non potrà mai essere sostituito né da mezzi altamente tecnologici né, tantomeno, dalle attività rese da un pulitore o lavascale (sia esso persona fisica o ditta specializzata) il quale, prestando un servizio limitato ad orari determinati nell’arco della giornata, non assicura né la vigilanza né la custodia dello stabile.

Concessaci questa riflessione, per tutti gli edifici ancora dotati del servizio di portierato, con l’aiuto della giurisprudenza vogliamo richiamare l’attenzione su alcune interessanti ed in alcuni casi singolari situazioni che si sono verificate anche nei rapporti interpersonali tra portiere e condomini.

Il condominio non può essere chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2049 c.c. per un comportamento penalmente rilevante del portiere nei confronti di un condomino.

Premesso che con la sottoscrizione del relativo contratto il portiere è un dipendente del condominio la questione, abbastanza inconsueta, è stata oggetto di una decisione della Corte di Cassazione la quale, nel caso di aggressione da parte di un portiere ad un condomino ha affermato che “Il condominio non è responsabile, ex art. 2049 c.c., per le lesioni personali dolose causate da un pugno sferrato dal portiere dell’edificio condominiale ad un condomino (o ad un inquilino) in occasione dell’accesso del primo nell’appartamento del soggetto leso per ispezionare tubature ed escludere guasti ai beni comuni o limitare i danni da essi producibili, difettando il nesso di occasionalità necessaria tra la condotta causativa del danno e le mansioni esercitate, posto che in queste non rientra alcuna ipotesi di coazione fisica sulle persone presenti nell’edificio condominiale, né tali condotte corrispondono, neanche sotto forma di degenerazione ed eccesso, al normale sviluppo di sequenze di eventi connesse al loro ordinario espletamento” (Cass. 9 giugno 2016, n. 11816).

La norma richiamata, che concerne la responsabilità del padrone e del committente per i danni arrecati da fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti, non si applica – neppure in via analogica - al condominio. Ha, infatti, ritenuto la Corte che, come da precedente giurisprudenza (Cass. n. 23448/2014), l’automatismo dell’insorgenza della responsabilità del proponente (nel caso di specie: il condominio) si attenua a mano a mano che la condotta del preposto (il portiere) si allontana dalle mansioni e dalle incombenze che gli sono state affidate.

Nell’ipotesi in esame il fatto che il portiere, sollecitato da un condomino abbia avuto accesso all’immobile di questi in funzione di un’attività (o meglio di un primo intervento immediato che, in ogni caso, gli impone l’obbligo di avvertire subito l’amministratore) solo in astratto riconducibile alla sua funzione, si circoscrive ad una mera occasione che si sarebbe potuta presentare in qualsiasi luogo o circostanza.

Quindi nessun pericolo per il condominio di dover risarcire il malcapitato, cui si oppone il pieno diritto di licenziare il dipendente.

Tuttavia, potrebbe essere ipotizzabile una responsabilità in capo al condominio per culpa in eligendo nel momento in cui emergesse che l’amministratore, pur essendo a conoscenza del carattere a dire poco intemperante del futuro portiere, avesse ugualmente proceduto alla sua assunzione alle dipendenze del condominio.

Il licenziamento del portiere per motivi disciplinari

Non necessariamente l’aggressione è solo fisica: essa può essere anche essere verbale e presentarsi sotto forma di minaccia anche accompagnata da turpiloquio nei confronti del condominio o di altri sottoposti all’ente (nella specie: minacce all’addetto alle pulizie ed al sostituto-portiere, entrambi allontanati dal posto di lavoro, accompagnate da volgarità verso l’ente datore di lavoro).

Anche in questo caso il portiere è passibile di licenziamento per giusta causa, poiché il comportamento tenuto dal soggetto è contrario al vivere civile della collettività condominiale con la quale si interrompe, per questo solo fatto, il rapporto di fiducia che intercorre tra datore e prestatore di lavoro.

Questo è quanto affermato dalla Suprema Corte (Cass. sez. lav. 12 dicembre 2007, n. 26073), la quale ha altresì precisato che nella fattispecie è del tutto irrilevante, ai fini della correttezza del licenziamento, la mancata compilazione ed affissione del codice di comportamento previsto dall’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come tali finalizzate ad impedire che il datore di lavoro addebiti al dipendente un illecito disciplinare arbitrariamente e dopo il verificarsi dell’evento.

Trattasi, infatti, di esigenza che, secondo i giudici di legittimità, sussiste solo nel caso di illeciti consistenti in violazione di discipline aziendali ignote alla generalità e – come tali – difficilmente conoscibili se non espressamente previste, mentre nel caso di cui ci stiamo occupando il comportamento tenuto dal portiere era manifestamente contrario con la legge, con il contratto e con i valori comunemente accettati.

Occorre, tuttavia, precisare che la decisione della Corte ha fatto riferimento solo alla mancata affissione del codice di comportamento (per la fattispecie in esame, ad esempio, nell’androne del palazzo) che il prestatore di lavoro deve rispettare, lasciando così impregiudicato tutto il restante contenuto dell’art. 7 cit., che riguarda la necessità di contestare al portiere i precisi addebiti e le conseguenti modalità da rispettare prima di avviare la procedura di licenziamento.

Peraltro, è lo stesso contratto collettivo nazionale a fare espresso riferimento all’art. 7 della legge n. 300/1970, là dove stabilisce che i provvedimenti disciplinari più gravi del semplice rimprovero verbale si applicano nel rispetto delle procedure previste dalla legge richiamata; che le contestazioni da parte del datore di lavoro devono essere tempestive rispetto al verificarsi dei fatti e che la comminazione delle sanzioni disciplinari, commisurate alla gravità degli eventi contestati, può avvenire entro e non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine a difesa concesso al lavoratore.

Non senza dimenticare che, sempre secondo il contratto nazionale, il portiere (come ogni altro lavoratore addetto al condominio) è passibile di licenziamento per motivi disciplinari ad esempio nei casi di ripetuta ubriachezza in servizio; assenza ingiustificata per più di tre giorni consecutivi; altre mancanze di tale gravità che rendano impossibile la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro.

Assunzione del portiere per facta concludentia

E’ pacifico che l’assunzione del portiere avviene tramite la sottoscrizione di un contratto di lavoro ad opera del soggetto incaricato e dell’amministratore in rappresentanza dell’ente condominio.

Con una interessante decisione la Corte di Cassazione (Sent. Sez. Lav. 6 marzo 2014, n. 5297), tuttavia, ha dichiarato che “in materia di rapporto di portierato, in favore di un condominio, l’assemblea dei condomini ha il potere di prestare direttamente il proprio consenso, anche per fatti concludenti, alla conclusione di un contratto. Ne consegue che l’instaurazione del rapporto di lavoro subordinato può essere desunta, oltre che da delibere assembleari, anche dalla esplicazione dell’attività lavorativa, dall’occupazione, da parte del lavoratore, dell’appartamento condominiale assegnato, e dall’accettazione della prestazione di lavoro da parte del condominio”.

Il caso è molto lineare: due sorelle, che avevano svolto il servizio di portierato ma prive di un contratto di lavoro chiedevano in via giudiziale l’accertamento della sussistenza del rapporto lavorativo alle dipendenze del condominio, con conseguente richiesta di riconoscimento di differenze retributive e revoca del licenziamento.

Entrambi i giudici di merito escludevano la configurabilità di un duplice rapporto di lavoro per lo svolgimento di mansioni semplici espletabili da un unico lavoratore, rilevando la mancata indicazione da parte delle ricorrenti della persona che le avrebbe assunte, non ritenendo rilevanti allo scopo neppure i verbali delle assemblee condominiali, meri atti preparatori, tanto più in assenza di prova circa la percezione di compensi o la sottoposizione a direttive di lavoro.

La Suprema Corte, invece, ribaltava la decisione di merito affermando, in primis, che “la quantità del lavoro espletato, non è sufficiente ad escludere la costituzione di un duplice rapporto di lavoro, se del caso con le particolari modalità del rapporto di portierato e con orari di lavoro compatibili” tanto è vero che “la riduzione dell’orario di lavoro rispetto alle previsioni della normativa collettiva, concordata dalle parti per loro particolari fini e per determinati effetti, non è da sola sufficiente per escludere l’esistenza di un rapporto di portierato e, quindi, l’applicabilità dei relativi contratti collettivi di categoria (nella specie: nei confronti del lavoratore che svolge attività di sorveglianza ai cancelli di un comprensorio immobiliare, costituito da più palazzine ognuna delle quali fornita di un portiere)”.

Ugualmente non decisiva è “la mancata indicazione da parte delle ricorrenti della persona che le avrebbe assunte, al fine di escludere la costituzione del rapporto di lavoro, in ragione della mancanza di personalità giuridica del condominio”.

Al contrario, assumono rilevanza le delibere assembleari con le quali il condominio abbia instaurato con il portiere un rapporto di lavoro ridotto negli orari ma in linea con la paga sindacale, poiché l’assemblea dei condomini ha il duplice potere di delegare l’amministratore a concludere un determinato contratto, fissando i limiti precisi dell’attività negoziale da svolgere e di prestare direttamente il proprio consenso alla conclusione di un contratto.

Nella disciplina del condominio, infatti, non è previsto alcun divieto al riguardo e non sussiste alcun impedimento tecnico-giuridico per una efficace manifestazione di volontà negoziale da parte dell’assemblea, non essendo – a tal fine – prevista una specifica forma (o addirittura quella scritta).

Ne consegue – sempre ad avviso della Corte - che il perfezionamento del rapporto di lavoro può ben avvenire per fatti concludenti anche nei confronti di un soggetto privo di personalità giuridica, qual è il condominio.

In tale situazione, pertanto, elementi presumibili dai quali trarre la sussistenza del rapporto lavorativo di portierato sono molteplici, quali: la continuativa esplicazione dell’attività lavorativa; l’accettazione della prestazione da parte del condominio; l’occupazione dell’alloggio condominiale assegnato; le particolari modalità della prestazione senza predeterminazione di orario ma in relazione al contenuto delle mansioni medesime; la continuità delle prestazioni lavorative; l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro, esercitato anche mediante il controllo dei singoli condomini nonchè la somministrazione dell’alloggio ubicato nell’edificio condominiale, se non giustificata da un diverso titolo.

Istituzione del servizio di portierato: innovazione oppure atto di straordinaria amministrazione?

L’art. 1120 c.c., come novellato dalla legge n. 220 del 2012, nel definire le innovazioni da assumere con la maggioranza prevista dall’art. 1136, commi 5 e 2, c.c. si riferisce sia ad interventi materiali finalizzati a migliorare ovvero a rendere più comodo l’uso (anche da un punto di vista quantitativo) del bene comune (comma 1), sia a quelle opere ed interventi di varia specie che sono indicati nella stessa norma (comma 2).

L’istituzione del servizio di portierato, ove non sia previsto nel regolamento contrattuale, rappresenta una novità in ambito condominiale anche se non ha i caratteri propri delle innovazioni disciplinate dall’art. 1120 cit.

Si può istituire il servizio destinando, ove esistenti, i locali comuni ad alloggio del portiere, così come quest’ultimo può essere assunto senza godere dell’alloggio: il tutto come previsto nel contratto collettivo nazionale.

La decisione di instaurare un rapporto lavorativo che incide in modo profondo sulle obbligazioni patrimoniali dei condomini e che, altresì, pone a carico degli stessi notevoli responsabilità in merito non solo al pagamento della retribuzione e dei contributi accessori ma anche al rispetto di tutte le normative in materia di sicurezza, non può essere assunta con la maggioranza prevista per gli atti di straordinaria amministrazione ma richiede la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 co.5. Tanto più se la delibera comporti anche la destinazione di locali comuni ad alloggio di servizio, mutando l’attuale destinazione degli stessi in altro uso (Cass. 25 marzo 1988, n. 2585 alla quale, ancora di recente, si è conformato il Tribunale di Roma con sent. n. 1657 del 28 gennaio 2016).

Nel caso in cui, invece, i locali condominiali fossero destinati ab origine ad alloggio del portiere, l’istituzione del relativo servizio non ricadrebbe più nell’ambito delle innovazioni ma configurerebbe un’ipotesi di straordinaria amministrazione soggetta all’applicabilità dell’art. 1136, co. 2. Nella specie, infatti, si tratterebbe di dare una finalità compiuta ad una destinazione che, senza il complemento del relativo servizio, resterebbe del tutte inutile.

Una volta che l’assemblea abbia deliberato in senso positivo sarà l’amministratore, nell’ambito dei poteri conferitigli dall’art. 1130, n. 1 c.c., a dare esecuzione al decisum dei condomini, i quali potranno delegare il rappresentante a scegliere il soggetto più adatto a ricoprire l’incarico; indicare essi stessi le qualità ed i profili richiesti per il futuro portiere nonché, ovviamente, individuare nominativamente la persona cui affidare il servizio di custodia e vigilanza.

Soppressione del servizio

Alla soppressione del servizio segue, come conseguenza naturale, il licenziamento del portiere trattandosi di due situazioni strettamente connesse tra di loro.

La relativa decisione è rimessa all’assemblea dei condomini. A tal fine occorre fare riferimento ad alcune decisioni della Suprema Corte che, seppure datate, rappresentano, ancora oggi, un valido punto di riferimento.

Nella già richiamata sentenza n. 2585/1988 si affermava che la delibera avente ad oggetto la soppressione del servizio di portierato previsto dal regolamento di condominio, con la destinazione di locali comuni ad alloggio del portiere, configura un atto innovativo da assumere con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, co. 5 c.c. (giur. costante).

Successivamente la Corte specificava che tale maggioranza è necessaria solo allorché il regolamento di condominio preveda, espressamente, l’obbligatorietà del servizio stesso. Diversamente, se lo stesso atto (anche se di natura contrattuale) si limiti a “disciplinare il servizio di portierato, prevedendo i compiti, le funzioni, l’alloggio del portiere, ecc., ma senza incidere sui diritti dei singoli condomini”, la delibera di soppressione sarà valida con la maggioranza prevista dall’art. 1136, co. 2, c.c., trattandosi nella specie di decidere in merito al contenuto di una norma regolamentare.

Alloggio del portiere: problematiche varie

1) Soppressione del servizio ed alloggio

Si ritiene che nel momento in cui la sussistenza del servizio venga a cessare per volontà assembleare l’alloggio del portiere perde la sua destinazione naturale per cui, una volta liberato, può essere locato in modo da assicurare ai condomini un congruo profitto.

Se l’abitazione del portiere, per regolamento contrattuale, è di proprietà comune i canoni di locazione devono essere ripartiti tra i condomini in base ai millesimi di proprietà generale (Cass. 14 aprile 2015, n. 7459). Diversamente se il bene appartenga, sempre per regolamento, solo ad una parte dei condomini (condominio parziale) la ripartizione sarà effettuata a vantaggio di questi.

La ripartizione viene effettuata dall’amministratore e consegnata a ciascun condomino il quale – secondo quanto precisato dall’Agenzia delle entrate – deve dichiarare nella denuncia dei redditi la propria quota percepita nei seguenti limiti: “i locali per la portineria, l’alloggio del portiere e per gli altri servizi oggetto di proprietà condominiale cui è attribuibile un’autonoma rendita catastale devono essere dichiarati dal singolo condomino solo se la quota di reddito a lui spettante per ciascuna unità immobiliare è complessivamente superiore a euro 25,82. L’esclusione non si applica per gli immobili concessi in locazione e per i negozi”.

La delibera assembleare con la quale l’abitazione del portiere viene locata a terzi deve essere assunta con la maggioranza semplice, trattandosi di argomento che riguarda il miglior uso della cosa comune, tanto più che nella fattispecie in esame la stessa concerne un bene che ha perduto la sua originaria destinazione, rimanendone del tutto privo per effetto della soppressione del servizio.

2) Sospensione o sostituzione del servizio di portierato e modifica della destinazione d’uso dell’immobile contrattualmente previsto come alloggio.

Se il termine sopprimere è sinonimo di abolire, eliminare e, quindi, abolire il servizio di portierato, da interpretare in un’ottica definitiva (anche se nel condominio vige il principio di modificabilità delle delibere assembleari, che possono sempre essere oggetto di nuova discussione), la sospensione del servizio corrisponde ad un’interruzione temporanea dello stesso, in attesa di una decisione nel senso di mantenere o rinunciare alla presenza del portiere.

E’ evidente che la questione si può porre solo in particolari condizioni, in quanto il condominio non potrà mai deliberare di sospendere un servizio attivo, mentre lo potrà fare, ad esempio, nel caso in cui il portiere fosse stato licenziato per motivi disciplinari, avesse deciso di rinunciare all’incarico lavorativo, avesse maturato i limiti di anzianità o fosse deceduto.

In questi casi la decisione, in un senso o nell’altro, potrebbe essere messa in stand by con effetti diretti sulla destinazione dell’alloggio, che rimarrebbe quella determinata nel regolamento condominiale. Rimane, pertanto, difficile ipotizzare – pur a fronte della comprensibile esigenza di mettere a frutto l’immobile comune – un cambio di destinazione dello stesso che potrebbe essere sempre effettuato con il consenso unanime dei condomini (ovvero anche con la nuova maggioranza prevista dall’art. 1117ter c.c. concernente proprio la modificazione delle destinazioni d’uso ed introdotto dalla legge n. 220/2012) lasciando, poi, ad una successiva delibera di determinare se proseguire con il servizio di portierato che, a fronte di tale scelta, ovviamente escluderebbe l’uso dell’alloggio.

Differente ancora è l’ipotesi di sostituzione del servizio con altro diverso quale, ad esempio, quello del pulitore o lavascale.

Nella specie il servizio di portierato viene soppresso a favore di altro tipo di contratto che non prevede la consegna dell’alloggio, a meno che questo non venga concesso in locazione a titolo abitativo al pulitore, oppure non sia considerato come parte della retribuzione.

In entrambi le ipotesi, cessato il contratto di pulizia il dipendente dovrà restituire l’immobile al condominio e se non lo farà sarà considerato occupante senza titolo.

Poteri dell’amministratore nei confronti dei locali
adibiti a portineria

In questo caso l’amministratore esercita, di diritto, tutti i poteri che gli sono conferiti per legge dall’art. 1130, nn. 3 e 4, c.c. che si riferiscono rispettivamente alla riscossione dei contributi necessari alla manutenzione ordinaria delle parti comuni ed al dovere di compiere tutti gli atti conservativi delle stesse.

Se compito dell’assemblea è quello di istituire, sospendere o sopprimere il servizio, ovvero licenziare il portiere (là dove sarà l’amministratore a provvedere a tutti i passaggi che rendano esecutiva la deliberazione assembleare), l’amministratore ha, invece, il potere di agire in giudizio – senza chiedere autorizzazione ai condomini – per liberare i locali destinati alla portineria nel caso in cui questi siano detenuti illegittimamente dal portiere licenziato. Ciò in quanto tale rilascio è strettamente connesso alla risoluzione del rapporto contrattuale lavoratore/condominio ed il recupero dell’alloggio è fondamentale per la prosecuzione dello stesso servizio.

Come chiarito dai giudici di legittimità (Cass. 8 febbraio 2012, n. 1768), inoltre, l’azione promossa dall’amministratore si configura come azione propter rem, volta non ad ottenere un accertamento sulla titolarità del bene ma una declaratoria sulla insussistenza in capo al convenuto/ex-portiere di qualsivoglia diritto sul bene.

Da ricordare, ancora, che l’amministratore resta titolare di tale diritto anche nei confronti del coniuge del portiere deceduto, poiché il subentrante sarebbe un occupante senza titolo, visto che alloggio e servizio di portierato sono strettamente connessi tra loro.

Mansioni del portiere: vigilanza, custodia, pulizia ed altro

I compiti del portiere sono oggetto del contratto collettivo nazionale ed in via primaria si sostanziano nella vigilanza, ovvero nella sorveglianza dello stabile da espletarsi nell’orario lavorativo, che si svolge mediante la presenza continua del portiere nel suo posto di lavoro (guardiola) in modo da poter garantire un attento controllo sulle persone che entrano ed escono dall’edificio.

La custodia, invece, è caratterizzata da un costante obbligo di controllare e provvedere alla generica conservazione e tutela dello stabile e può essere svolta anche al di fuori dell’orario di lavoro. In quest’ ambito, in via del tutto esemplificativa, il portiere dovrà controllare il comportamento dei condomini e degli inquilini; l’uso dell’ascensore; il funzionamento delle apparecchiature di natura comune presenti nell’edificio effettuando, ove dotato di relativa certificazione, interventi di prima necessità e, comunque, sempre dando immediata comunicazione all’amministratore di eventuali guasti.

Da precisare che tali attività, salvo contraria norma regolamentare di natura contrattuale, vengono svolte anche nell’interesse dei proprietari delle unità immobiliari accessibili direttamente dalla strada mediante autonomo ingresso per cui le spese del servizio di portierato vanno ripartite ai sensi dell’art. 1123 c.c. in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno dei condomini (Cass. 21 agosto 2003, n. 12298).

Per quanto concerne la pulizia, infine, si tratta di compito da svolgere quotidianamente per tutte le parti comuni dello stabile da esercitare secondo le linee guida della legislazione speciale in materia di sicurezza.

Argomento importante nell’ambito delle mansioni è quello che concerne la distribuzione della corrispondenza, ordinaria e straordinaria, nonché quello della ricezione degli atti giudiziari.

Rientrano nel termine ampio di corrispondenza ordinaria la posta prioritaria, i pacchi, i periodici (mensili o settimanali) gli espressi, i plichi recapitati a mano da corrieri privati. Il ritiro di raccomandate ed assicurate è attività aggiuntiva.

Nel primo caso sussiste l’obbligo del portiere di distribuire la corrispondenza corrente (dovere che, invece, non spetta al pulitore a meno che tale servizio aggiuntivo non sia contrattualmente previsto e retribuito a parte), tanto che il suo rifiuto costituisce inadempimento. Più articolato il discorso della posta straordinaria nella quale – come detto- rientrano le lettere raccomandate (semplici o con ricevuta di ritorno) e le assicurate.

La questione è al momento ancora disciplinata dal contratto collettivo nazionale che impone che questo tipo di corrispondenza, la cui ricezione si perfeziona con la firma del destinatario, non possa essere presa in consegna dal portiere se ad esso non sia stata conferita apposita delega dall’interessato (condomino, inquilino o chi utilizzi l’immobile in base ad un titolo valido).

Il condominio, inoltre, per la dovuta garanzia di trasparenza e certezza di esecuzione dell’incarico da parte del portiere, dovrà fornire al medesimo un registro ove saranno annotate le date di arrivo e di consegna al destinatario, previa sottoscrizione per ricevuta. All’espletamento del servizio aggiuntivo da parte dal portiere corrisponde un’indennità economica extra, che è stata quantificata in apposita tabella allegata al contratto nazionale in ragione delle variabili indicate.

Altra mansione importante e delicata per il portiere è il ritiro di copia delle notifiche di atti giudiziari al quale egli è tenuto per effetto dell’art. 139, co. 3 e 4, c.p.c., sottoscrivendo relativa ricevuta. In merito è stato affermato che “in caso di notifica eseguita ai sensi dell’art. 139, c.p.c., con consegna dell’atto al portiere di un condominio, qualificatosi, nella dichiarazione resa all’ufficiale giudiziario, come “addetto” alla ricezione, senza alcun riferimento alle concomitanti funzioni connesse all’incarico di portierato, per superare la presunzione che il consegnatario sia incaricato della ricezione degli atti diretti al destinatario della notifica non è sufficiente che quest’ultimo provi l’insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con il consegnatario ovvero che questi sia alle dipendenze esclusive di un terzo, ma è altresì necessario che dimostri che il medesimo consegnatario non sia addetto ad alcun incarico per conto o nell’interesse del destinatario nell’ambito dello stesso stabile” (Cass., ord., 5 marzo 2014, n. 5220).

Può il portiere rifiutarsi di ricevere la notifica?

La questione tocca due aspetti: il primo di carattere meramente processuale, per cui l’ufficiale giudiziario, nel caso di specie, dovrà effettuare ugualmente la notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c., depositando la copia dell’atto nella casa del comune dove la notificazione si deve eseguire e affiggendo avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio del destinatario, dandone notizia per raccomandata con avviso di ricevimento.

Il secondo profilo è di carattere strettamente condominiale. Il portiere, infatti, potrà rifiutare la ricezione dell’atto/i solo se sia stato espressamente diffidato dal condomino, inquilino, usufruttuario/destinatario, tramite atto da questi sottoscritto. L’autorizzazione scritta ad un non facere rispetto ad un obbligo di legge, infatti, metterà il portiere al riparo da qualsivoglia responsabilità. Responsabilità che può essere extracontrattuale nei confronti del condomino eventualmente danneggiato e di tipo contrattuale ove involga interessi di carattere condominiale.


di Adriana Nicoletti (Avvocato del Foro di Roma) © Riproduzione riservata