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Normativa condominio

Normativa condominio

La Normativa e il Condominio

Parcheggi condominiali

I parcheggi in condominio

Parcheggi condominiali: le problematiche più comuni alla luce della giurisprudenza. (Adriana Nicoletti)


I maggiori contrasti che interessano i rapporti condominiali sono caratterizzati da conflitti che riguardano la modalità di gestione delle proprietà comuni, sia in termini quantitativi che qualitativi e si verificano quando i proprietari, o soggetti da questi legittimati e tali nei confronti dell’ente, ritenendosi titolari esclusivi di diritti che invece appartengono in pari misura alla collettività, si comportano in modo poco civile, manifestando indifferenza ed arroganza nei confronti degli altri partecipanti al condominio.
Non sfuggono a questa realtà i ricorrenti litigi che hanno ad oggetto anche le modalità di utilizzo degli spazi comuni destinati al parcheggio di autovetture e motocicli nelle aree comuni (autorimesse, cortili, viali condominiali, piani piloty e così via) e le innumerevoli sentenze, di legittimità e di merito, che affrontano questa tematica sono la prova di quanto la questione sia sempre di attuale interesse.
Il punto di partenza per un esame complessivo di tale quadro, non certo di scarso rilievo, è la consapevolezza di un dato di fatto imprescindibile: ovvero che moltissimi edifici sono stati costruiti in tempi remoti, allorché il numero e le dimensioni delle macchine potevano essere facilmente assorbiti da un garage condominiale, mentre attualmente non solo le famiglie molto spesso sono proprietarie di almeno due autovetture, ma gli stessi componenti del nucleo possiedono anche motocicli, per i quali chiedono o pretendono di trovare uguale collocazione nell’autorimessa comune.
La nutrita casistica giurisprudenziale che si va ad esaminare evidenzia situazioni tutte meritevoli di attenta puntualizzazione.

La barriera per le liti condominiali è senza dubbio l’uso corretto del bene comune.
L’uso dell’autorimessa comune, così come degli altri spazi esterni finalizzati alla sosta degli autoveicoli e simili, rientra nell’ambito di applicazione dell’1102 c.c.: norma concernente la comunione in generale ma pienamente valida, per la sua compatibilità, anche nel pianeta condominio.
Secondo il dettato legislativo ciascuno può utilizzare il bene comune secondo le proprie esigenze, ma con il duplice obbligo di rispettare il diritto al pari uso da parte degli altri condomini e di non mutarne la destinazione.
La norma è oggetto di interpretazione giurisprudenziale consolidata nel tempo nel senso che il pari uso non deve essere inteso “nei termini di assoluta identità dell’utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l’identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell’oggetto della comunione” (da ultimo Cass. 14 aprile 2015, n. 7466). E, più specificamente, “l‘uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare” (Cass. 27 febbraio 2007, n. 4617).
Tale bilanciamento, tuttavia, può essere modificato per effetto di un “uso più intenso” e cioè quantitativamente maggiore, ma sempre rispettoso del limite previsto dall’art. 1102 c.c., che si considera superato allorché detta intensità sconfini nell’esercizio di una vera e propria servitù. Nella fattispecie in esame tale circostanza si potrebbe realizzare, ad esempio, nel momento in cui un condomino, con regolarità, parcheggiasse nel garage condominiale o negli spazi esterni a tale servizio destinati, non una ma due macchine.
Sempre in relazione al concetto di pari uso è stato chiarito dalla Suprema Corte (sent. 16 gennaio 2014, n. 820) che la misura del godimento di un bene comune non è certamente rapportabile alla quota maggiore o minore di proprietà del singolo condomino, come risultante dalle tabelle millesimali dalle quali è totalmente sganciata per tale profilo. Per intenderci: il condomino che ha più millesimi non può pretendere di utilizzare in misura maggiore l’autorimessa condominiale, mentre sarà chiamato a pagare le spese relative alla gestione del bene stesso secondo la propria quota.

Trasformare un cortile od un giardino in parcheggio è innovazione o modificazione della cosa comune?
La legge n. 220/2012 di riforma del condominio, al fine inquadrare le modificazioni delle destinazioni d’uso in un ambito legislativo, con l’art. 1117ter ha introdotto una norma specifica che limita tali interventi alla necessità di soddisfare esigenze di interesse condominiale, ma nel rispetto di determinati atti propedeutici, quali l’approvazione di una delibera assembleare, adottata con una maggioranza più che rilevante e pari ai quattro quinti sia dei partecipanti al condomini, sia dei millesimi di proprietà. Stante l’importanza dell’opera, inoltre, l’avviso di convocazione dell’assemblea deve rimanere affisso, per non meno di trenta giorni consecutivi, in uno spazio condominiale ove lo stesso sia più facilmente visibile e deve essere, comunque, trasmesso ai condomini tramite lettera raccomandata o mezzi equipollenti e ricevuto almeno venti giorni prima dell’assemblea. A pena di nullità l’avviso deve indicare le parti comuni oggetto di modificazione e la nuova destinazione impressa, che non è immune dal rispetto della stabilità o sicurezza del fabbricato e del decoro architettonico.
La ratio ispiratrice della norma è palese: evitare che un’esigua maggioranza o addirittura un solo condomino pongano ostacoli ad un percorso necessario ed utile alla collettività, considerato che nel passato per alcuni tipi di interventi modificativi si parlava di unanimità di consensi.
Per quanto di nostro interesse il problema che si pone ora è quello di vedere se la nuova destinazione del cortile comune a spazio per il parcheggio delle autovetture sia inquadrabile nella fattispecie disciplinata dall’art. 1117ter, o piuttosto in quella regolamentata dall’art. 1120 c.c.
Posto che la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la funzione principale del cortile sia quella di dare aria e luce agli appartamenti dello stabile di cui costituisce spazio accessorio anche in termini di destinazioni (per tutte Cass. 9 giugno 2010, n. 13879), gli stessi giudici di legittimità (pur con decisione avente ad oggetto fatti antecedenti all’entrata in vigore della nuova normativa) hanno affermato che “la delibera assembleare di destinazione del cortile condominiale a parcheggio di autovetture dei singoli condomini, in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune, è validamente approvata con la maggioranza prevista dall’art. 1136, quinto comma, c.c., non essendo all’uopo necessaria l’unanimità dei consensi, ed è idonea a comportare la modifica delle disposizioni del regolamento di condominio, di natura non contrattuale, relative all’utilizzazione ed ai modi di fruizione delle parti comuni” (Cass. 15 giugno 2012, n. 9877).
La decisione non sembra confliggere con la novità introdotta dall’art. 1117ter, poiché nel caso di cui ci stiamo occupando il cortile, se da un lato non perde la sua natura e funzionalità originaria, dall’altro, tramite la sua destinazione aggiuntiva, consente ad ogni condomino di utilizzarlo al meglio nell’interesse della collettività, senza per questo che la modificazione realizzi un restringimento dei diritti dei singoli su tale area.
Detto questo, tuttavia, occorre tenere anche presente sia la sussistenza di un eventuale regolamento condominiale contrattuale che imprima al cortile una specifica destinazione, sia la circostanza di fatto che la trasformazione dell’area in spazio di sosta per le autovetture non vada ad incidere sui diritti dei singoli quali derivanti dai relativi atti di acquisto (come ad esempio nel caso in cui tale uso ostacoli, in modo permanente, l’accesso ad alcuni locali utilizzati ad autorimesse, oppure qualora la sosta determini problemi attuali di immissioni sonore o di fumo in danno alle abitazioni che eventualmente si venissero a trovare con finestre o porte occupate dalle automobili).
Diverso, invece, appare il caso in cui ad essere modificato sia un giardino condominiale. In tal caso, infatti, si ritiene che la fattispecie rientri, pienamente, nell’ambito applicativo dell’art. 1117ter. Ed invero, assodata la sussistenza della necessità di realizzare esigenze di interesse condominiale, rimane il fatto che l’area verde con una radicale modificazione perderebbe le sue caratteristiche, trasformandosi in un “quid novi” tramite interventi edilizi strutturali e la sottrazione di un bene comune all’uso ed al godimento di tutti condomini e dei loro familiari.
A questo proposito giova ricordare che con una risalente decisione rimasta, peraltro, valida nel tempo perché priva di pronunce contrarie successive, la Suprema Corte aveva affermato che “In tema di condominio degli edifici, l’utilizzazione a parcheggio di autovetture private di un’area comune alberata, originariamente goduta come ‘parco- giardino’, in relazione alla sua apprezzabile estensione, non si traduce in un miglioramento della cosa comune, ma comporta mutamento ed alterazione della destinazione della medesima, in pregiudizio dei diritti dei singoli condomini. Essa, pertanto, non può essere validamente deliberata dall’assemblea del condominio, con le maggioranze previste per le innovazioni utili (artt. 1120 primo comma e 1136 quinto comma c. c.), ma postula l’unanimità di tutti i condomini” (Cass. 14 novembre 1977, n. 4922).
Diverso, invece, sempre secondo la Corte Suprema, il caso in cui la delibera assembleare di destinazione a parcheggio di un’area di giardino condominiale, devesse interessare una estensione limitata dello spazio verde rispetto alla superficie complessiva, nel quale si trovino anche alberi di alto fusto. Nella fattispecie, infatti, non si tratterebbe di innovazione vietata dall’art. 1120 c.c., non comportando tale destinazione alcun apprezzabile deterioramento del decoro architettonico, né alcuna significativa menomazione del godimento e dell’uso del bene comune, in quanto da essa deriverebbe una valorizzazione economica di ciascuna unità abitativa e una maggiore utilità per i condòmini (Cass. 12 luglio 2011, n. 15319).
Tuttavia, in questo quadro, non si può non evidenziare che la formula utilizzata dal legislatore, “esigenze di interesse condominiale” appare, ancora una volta generica e - come tale - foriera di libera interpretazione da parte del Giudicante, con la conseguenza che, nel prossimo futuro, ci si potrebbe trovare di fronte ad una giurisprudenza non univoca.
In questo senso ciò che ci sentiamo di affermare è che la ratio ispiratrice della norma sia quella di salvaguardare un interesse concreto della collettività e realizzabile solo attraverso il mutamento di destinazione dell’uso. Nel caso di cui ci stiamo occupando, pertanto, tale necessità si potrebbe verificare allorché l’immobile, privo di autorimessa comune, si trovi in una zona ad alta concentrazione commerciale ed i condomini abbiano quotidianamente difficoltà a trovare parcheggio. Mentre tale esigenza potrebbe sussistere allorché il giardino venisse sacrificato per creare nuovi posti macchina, aggiuntivi a quelli esistenti e destinati a doppie autovetture.

Abbandono di auto e moto negli spazi adibiti a parcheggio.
Non di rado si verifica la circostanza che veicoli e motocicli siano abbandonati dai legittimi proprietari, che scambiano il garage condominiale per un deposito. Può capitare sia per le autovetture non utilizzate per anni e che assumono l’aspetto di beni da rottamare, occupando in modo permanente un posto altrimenti fruibile, sia per i vecchi motorini lasciati in un angolo del locale comune. Talvolta, ma neppure tanto raramente, accade che il legittimo proprietario abbia anche venduto l’appartamento senza preoccuparsi di liberare il garage del proprio rifiuto.
In questo caso quali sono le procedure da seguire per liberare l’autorimessa senza porre in atto comportamenti illegittimi?
La più recente giurisprudenza penale, ha affermato che “in tema di gestione dei rifiuti, deve essere considerato “fuori uso” in base alla disciplina di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 209 del 2003, sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privo delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta, sia quello che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata”.
Dalla decisione, che ha equiparato la giacenza di un’auto in un’area pubblica a quella in un’area privata che, nel nostro caso, può essere tanto il cortile condominiale quanto il garage comune, emerge che un’auto può definirsi rifiuto sia quando il proprietario con il suo comportamento protratto dimostri di non volersene più servire, sia nel caso - ancora più evidente - in cui il veicolo non sia più in grado di circolare. Al verificarsi di tale situazione, quindi, il proprietario non può - senza correre il rischio di essere sottoposto alle relative sanzioni - abbandonare in un’area condominiale il proprio veicolo lasciandolo al proprio destino e determinando una lesione degli altrui diritti.
Come fare per liberare l’area così illegalmente occupata?
La Corte di Cassazione (sent. 16 gennaio 2014, n. 820) ha affermato che l’assemblea non può deliberare di rimuovere il mezzo con l’intervento del carro attrezzi ponendo le spese a carico del proprietario dell’autovettura. Questo neppure qualora sia stato modificato il regolamento del condominio, introducendo una norma in tal senso e che superi l’art. 70 delle disposizioni di attuazione del codice del condominio che sanziona, in via pecuniaria, i comportamenti che violano il regolamento stesso. Ha osservato, infatti, la Corte che la norma prevede solo sanzioni pecuniarie (ora elevate fino ad € 200 e in caso di recidiva fino ad € 800), talché non sarebbe consentito introdurre sanzioni diversamente afflittive che si tradurrebbero nel consentire, in ambito condominiale, un diritto di autotutela. Ovviamente ed a maggior ragione un singolo condomino non potrà mai determinarsi unilateralmente a procedere alla rimozione, tramite società specializzata, alla rimozione dell’automezzo (Cass. 09 febbraio 2011, n. 3180).
Nella situazione di cui ci stiamo occupando, pertanto, l’amministratore dovrà invitare l’interessato a rimuovere spontaneamente l’autoveicolo abbandonato in sosta ovvero non concretamente utilizzabile ed applicare, quindi, le sanzioni previste dall’art. 70 citato. Nel caso di comportamento perseverante, sempre tenendo conto delle preclusioni di legge e sussistendone le condizioni, si potrà ricorrere al Giudice per chiedere un provvedimento di urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c., ovvero un provvedimento cautelare ai sensi dell’art.1168 c.c.

Attenzione a non parcheggiare l’auto in “modo selvaggio”, ci possono essere responsabilità penali.
La nota mancanza di educazione ed il non rispetto dei diritti altrui, che connotano sempre più spesso i rapporti condominiali, si manifestano anche allorché i condomini, indifferenti ai richiami dell’amministratore, continuino a parcheggiare le proprie auto o fuori dalle zone delimitate, oppure occupando ripetutamente le aree di manovra od ancora bloccando altri veicoli.
Il condomino che di tale modus agendi faccia regola di vita, deve sapere che è passibile di essere denunciato ai sensi dell’art. 610 c.p. che punisce, con la reclusione fino a quattro anni, colui che “con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”.
Ciò è quanto affermato dalle Sezioni Unite Penali della Cassazione che, con recente decisione, confermativa di altri precedenti, ha ritenuto che “ integra il reato di violenza privata, di cui all’art.610 c.p., la condotta di colui che, avendo parcheggiato l’auto in maniera da ostruire l’ingresso al garage condominiale, si rifiuti di rimuoverla nonostante la richiesta della persona offesa”. Là dove il requisito della violenza o, in alternativa, della minaccia, che potrebbe sembrare discutibile se rapportato alla fattispecie in esame, è stato identificato dai giudici supremi in un qualsiasi mezzo idoneo a privare in modo coattivo il soggetto offeso della liberta di azione (Cass. Sez. Un. 12 marzo 2013, n. 28487. Conf. Cass nn. 603/2011 e 21779/2006).

Uso turnario del garage condominiale
È la soluzione naturale e legittima da adottare quando i posti macchina esistenti non siano in numero tale da coprire il fabbisogno dei condomini, considerando che ciascuno di essi ha il diritto di parcheggiare una sola macchina nello spazio comune. La questione è pacificamente risolta dalla giurisprudenza della Corte Suprema (da ultimo si veda Cass. 19 luglio 2012, n. 12485).

Se il condomino vuole recintare il proprio posto auto.
Può capitare che in un garage condominiale, ove i posti macchina siano delineati con le strisce, numerati ed accatastati individualmente, il proprietario (ma anche l’utilizzatore esclusivo per atto di acquisto), per evitare che altri condomini parcheggino la propria autovettura dove non devono, decida di recintare tale spazio in modo da escludere altri dall’uso abusivo di detto posto.
L’intervento è ammissibile - secondo la giurisprudenza della Corte - a condizione che l’opera sia limitata alla proprietà esclusiva, non invada lo spazio del vicino o quello di proprietà comune e non renda più difficoltose le manovre di parcheggio e salvo il rispetto delle norme regolamentari (Cass. 22 novembre 2011, n. 24645).
La precedente giurisprudenza sul punto è conforme avendo più volte affermato che tale facoltà prende vita dal diritto del proprietario di recintare la proprietà esclusiva, con l’eccezione di costituire servitù negative o di compiere atti emulativi. L’art. 841 c.c., che consente la chiusura del proprio fondo si estenderebbe, secondo la Corte Suprema, anche alle strutture di c.d. box apposti in zone condominiali di parcheggio, ovviamente con il rispetto dei limiti di cui sopra (Cass. 14 marzo 2005, n. 5542 e Cass. 25 maggio 1991, n. 5933. Da ultimo Cass. 16 dicembre 2014 per la fattispecie in cui è stato ritenuto legittimo, nella sussistenza delle predette condizioni, non solo la chiusura a “box” di spazio esclusivo in zona condominiale di parcheggio, ma anche l’apertura di un varco di collegamento con l’adiacente cantina sempre di proprietà esclusiva).

Oggi è possibile installare telecamere nell’autorimessa condominiale a tutela di furti o atti vandalici.
Con l’entrata in vigore della legge n. 220/2012, l’art. 1122ter c.c. ha stabilito che l’assemblea può, con la maggioranza di cui all’art. 1136 secondo comma (maggioranza dei partecipanti al condominio, pari a 501 mm.) deliberare di installare impianti volti a consentire la videosorveglianza sulle parti comuni dell’edificio. E’ comunque necessario che un cartello avvisi della presenza di tale sistema, considerato che il garage condominiale può essere utilizzato anche da soggetti non condomini, quali ad esempio: conduttori, usufruttuari, comodatari ecc.
È controverso, in giurisprudenza e dottrina, se anche al condomino sia consentito installare una telecamera nel garage condominiale che riprenda esclusivamente il proprio posto macchina.
Non sussistendo una normativa specifica sul punto, occorre fare riferimento al provvedimento del Garante della privacy del 10 ottobre 2013 e, quindi, successivo all’entrata in vigore delle nuova legge sul condominio. Il Garante, il quale ha precisato che “quando l’installazione di sistemi di videosorveglianza viene effettuata da persone fisiche per fini esclusivamente personali - e le immagini non vengono né comunicate sistematicamente a terzi, né diffuse (ad esempio attraverso web cam) - non si applicano le norme previste dal Codice della privacy”, sicché non è necessario segnalare l’eventuale presenza del sistema di videosorveglianza con un apposito cartello, rimanendo comunque valide le disposizioni in tema di responsabilità civile e di sicurezza dei dati.
In questo caso, pertanto, premesso che dovrebbe realmente sussistere una situazione di pericolo (ad esempio se l’autovettura sia stata oggetto di ripetuti atti vandalici e l’assemblea non abbia deliberato per l’installazione di un sistema condominiale di videosorveglianza), il condomino potrà - con tutte le cautele del caso - installare una telecamera sull’area esclusiva. Ciò comporta, ovviamente, che il posto-auto sia assegnato esclusivamente al singolo condomino (escludendosi, quindi, l’ipotesi di parcheggio in autorimessa comune senza designazione fissa di posti) e che l’angolo di visuale del dispositivo sia limitato alla zona di pertinenza privata, senza inquadrare né porzioni esclusive né condominiali. A maggiore tutela il condomino potrà installare un cartello dal quale risulti che il proprio posto macchina è sorvegliato. 

Assegnazione di posti auto e ri-tinteggiatura delle strisce gialle.
È consuetudine che negli ampi spazi condominiali destinati alla sosta delle automobili i posti auto siano delimitati da linee variamente colorate, al di là delle quali il parcheggio è illegittimo. E’ altrettanto naturale che nel tempo dette linee perdano di colore e richiedano di essere, per così dire, rinfrescate. E qui potrebbero sorgere dei problemi se l’aspetto originario non venga rispettato.
Due sono le situazioni da considerare.
Se i posti macchina sono numerati e/o attribuiti ad ogni singola unità abitativa, non è possibile variare la collocazione degli stessi, neppure se nel tempo il parco macchine muti per l’aumento delle dimensioni delle autovetture, circostanza che è attualmente molto frequente.
In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione, la quale ha confermato la sentenza del Tribunale in sede di appello che aveva dichiarato che “appartiene alla cornice fattuale di riferimento comune alle parti il fatto che le esigenze di parcheggio dell’odierno ricorrente siano mutate, generando la presente controversia, per aver questi la disponibilità di un’autovettura di maggiori dimensioni… Tale circostanza corrisponde ad una libera scelta di detta parte, la quale però, per i motivi anzi detti, non può provocare cambiamenti nell’uso della cosa comune attraverso l’imposizione giudiziale di un diverso tipo di godimento diretto, vuoi frazionato temporalmente, vuoi realizzato mediante apposite nuove opere”. Rafforzando, la Corte adita tale principio con la seguente pronuncia: “ove il godimento pregresso, sia esso promiscuo o regolamentato in via autonoma tramite delibera dell’assemblea dei condomini adottata a maggioranza…, non sia più possibile per taluno soltanto dei partecipanti, a causa del mutamento puramente elettivo delle sue condizioni personali, questi non può esigere potestativamente nei confronti degli altri una diversa modalità di utilizzazione della cosa comune, in senso turnario ovvero mediante altre soluzioni che impegnino ulteriori e/o differenti parti oggetto di comunione, sia perché il godimento promiscuo è per sua natura modale, di talché il singolo condomino ha l’onere di conformare ai limiti anche quantitativi del bene le proprie aspettative di utilizzo, sia in quanto differenti opzioni di godimento comune possono essere realizzate in via autonoma, ma non già imposte tramite l’intervento eteronomo del giudice, che nello specifico dispone soltanto di poteri interdittivi” (Cass. 11 luglio 2011, n. 15203).
L’altro caso che si può verificare, invece, è quello determinato da un garage condominiale nel quale i posti macchina siano delineati ma senza assegnazione ai singoli, talché ciascuno parcheggia dove trova il posto libero e tutti ne usufruiscono secondo i criteri di cui all’art. 1102 c.c.
In tal caso la regolamentazione e la disposizione potrebbe anche essere variata nel tempo, in conseguenza delle nuove esigenze che, comunque, devono interessare la comunità. Quindi si potrebbe pensare anche ad una differente localizzazione dei posti macchina, ma sempre deliberata dall’assemblea e a condizione che vengano rispettati in pieno i diritti di tutti i condomini.
 


di Adriana Nicoletti © Riproduzione riservata. Pubblicato su Dossier Condominio n.149


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