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Normativa condominio

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La Normativa e il Condominio

conduttura del gas

Nessuna servitù coattiva per la conduttura del gas

Al passaggio delle tubazioni del gas non sempre si applica la stessa disciplina. Quest'ultima si differenzia a seconda che tali impianti insistano su aree private oppure su aree comuni.


Nel primo caso, la loro collocazione richiede la costituzione di una servitù prediale volontaria (art. 1031 c.c.), nel secondo rientra nel legittimo uso delle parti comuni ex articolo 1102 c.c..

1) Passaggio di tubazione del gas in area privata: servitù volontaria

Il passaggio di tubazioni del gas in aree private necessita della costituzione di  una servitù con il consenso del proprietario del fondo servente, in quanto non sussiste la possibilità di costituire una servitù di passaggio di tubazioni del gas coattiva.

Le servitù, intese come un peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario  (art. 1027 c.c.), si costituiscono volontariamente o coattivamente (art. 1031 c.c.).

Mentre le servitù volontarie possono avere ad oggetto una qualsiasi “utilitas”, purché ricavata da un fondo a vantaggio di un altro fondo appartenente a diverso proprietario, le servitù prediali coattive formano un “numerus clausus“, sono, cioè, tipiche avendo ciascuna il contenuto predeterminato dalla legge.

Non sono ammissibili, quindi, altri tipi di servitù coattive al di fuori di quelli espressamente previsti da una specifica norma per il soddisfacimento di necessità ritenute meritevoli di tutela.

In recente sentenza la Corte di cassazione (sent. n. 11563/2016) ha ribadito che è inammissibile la costituzione coattiva di una servitù di passaggio di tubi per la fornitura di gas metano, dovendosi escludere un’applicazione estensiva dell’art. 1033 c.c. in tema di servitù di acquedotto coattivo.

L’esigenza del passaggio di tubi conduttori del gas non può essere ricondotta sotto la stessa fattispecie normativa che regola la imposizione della servitù di acquedotto, «in conseguenza della non assimilabilità delle due situazioni per i caratteri peculiari di struttura e funzione di ciascuna di esse, ed in particolare, della pericolosità insita nell’attraversamento sotto terra delle forniture del gas, non ricorrente nella servitù di acquedotto» (v. anche Cass. sent. n. 820/92).

Fondamentale a riguardo, il richiamo dell’ordinanza della Corte Costituzionale la quale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1033 del codice civile, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 42 della Costituzione, nella parte in cui prevede la costituzione coattiva della servitù di acquedotto, ma non la possibilità di costituire coattivamente anche la servitù di metanodotto.

Infatti - benché non possa essere negata l’esistenza di un indirizzo legislativo volto a favorire la diffusione del gas metano - «solo il legislatore potrebbe introdurre un modello coercitivo nella disciplina dei rapporti tra fondi vicini, atteso che una scelta di tal genere non si presenta come costituzionalmente vincolata, a causa dell’esistenza di fonti di energia alternative, di modalità tecniche di approvvigionamento del gas metano diverso dal trasporto attraverso condutture e, infine, della possibilità di giungere al medesimo risultato mediante atti di esercizio dell’autonomia privata» (Ordinanza n. 357/2002).

1.a) Cassazione sentenza n. 11563/2016: fattispecie

Gli attori adivano il tribunale per richiedere la rimozione delle tubature per l’adduzione di gas, acqua e scarico fognario installate, dal vicino, sul proprio terreno.

Sia il giudice di primo grado che la  Corte di appello rigettavano la domanda di costituzione coattiva di servitù di gasdotto sul fondo vicino in quanto, a parere dei giudici, essendo i diritti reali a numero chiuso, non era possibile costituire una servitù diversa da quelle previste dall’articolo 1033 c.c. la cui legittimità era stata verificata dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza  n. 357/2002.

I convenuti proponevano ricorso per Cassazione e sostenevano, in relazione alle esigenze sopravvenute dal momento di emanazione del codice civile, la necessità di una interpretazione analogica delle norme dettate in tema di servitù coattiva, tenuto conto che trattavasi di un servizio essenziale e indispensabile e che, nella specie, era stato escluso l’approvvigionamento del metano in modo diverso dal trasporto attraverso condutture.

Sempre la stessa parte sosteneva che le condotte erano state collocate nel sito a seguito di un precedente accordo verbale di spostamento di una servitù di passaggio già esistente.

La realizzazione di tale spostamento e delle opere necessarie per poter fruire di un servizio pubblico, erano state autorizzate dalle controparti interessate.

La Corte, applicando i principi sopra esposti, rigettava il ricorso precisando, in primis che la servitù non si poteva costituire verbalmente, essendo prevista la forma scritta ad substantiam dall’articolo 1350 c.c.

L’esigenza del passaggio di tubi conduttori del gas non poteva essere ricondotta sotto la stessa fattispecie normativa che regola la imposizione della servitù di acquedotto, in quanto servitù specifica, disciplinata dal codice, la cui normativa non poteva essere applicata per analogia stante, soprattutto, la pericolosità insita nell’attraversamento sotto terra delle forniture del gas, non ricorrente nella servitù di acquedotto.

In fattispecie analoga, trattandosi, tra l’altro, di uno spostamento di un servitù preesistente, i giudici di legittimità hanno avuto modo di  precisare che “quand’anche il rifacimento della condotta non configurasse una nuova servitù invocando la sopravvenuta inutilizzabilità della vecchia condotta, dovrebbe pur sempre ravvisarsi, nella fattispecie, un inammissibile aggravamento della servitù stessa, considerato che al divieto di aggravare l’esercizio della servitù si può contravvenire, non solo attraverso la costruzione, ma anche la modificazione delle opere materiali già destinate al normale funzionamento della servitù stessa” (Cass. 21 agosto 2012 n. 14582).

Si tratterebbe, cioè, di un aggravamento dell’esercizio della servitù, che è vietato (art. 1067 c.c.).

2) Passaggio di tubazione del gas in area condominiale: uso legittimo ex art. 1102 c.c.

Il comproprietario di un cortile può porre nel sottosuolo tubature per lo scarico fognario e l’allacciamento del gas a vantaggio della propria unità immobiliare, trattandosi di un uso conforme all’art. 1102 c.c., in quanto non limita, né condiziona, l’analogo uso degli altri comunisti.

Articolo che, seppur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile anche in materia di condominio negli edifici per il richiamo contenuto nell’articolo 1139 c.c..

La Corte di Cassazione (sent. n. 18661/2015) ha avuto modo di chiarire che il pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’articolo 1102 c.c., non va inteso nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, posto che nei rapporti condominiali si richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.

  A differenza dalle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano la consistenza (materiale) o alterano la destinazione (funzionale) delle parti comuni, in quanto rendono impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono essere deliberate dall’assemblea (articolo1120 c.c., comma 1) nell’interesse di tutti i partecipanti - le modifiche alle parti comuni dell’edificio, contemplate dall’articolo 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso della cosa comune, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l’altrui pari uso (Cass., sent. n. 1554/1997).

Il passaggio di condutture di gas metano (come di altre) in aree condominiali, non modifica la consistenza materiale né altera la destinazione funzionale del bene comune, né crea un peso sulla cosa comune a discapito dei condomini ed a vantaggio del solo fruitore.

Rientra, pertanto, nel legittimo uso dei beni comuni, è conforme alle peculiari  finalità a cui è destinato il bene comune (cortile, muri) e non richiede alcuna autorizzazione dell’assemblea.

3) Servitù, uso legittimo ex art. 1102 c.c., distanze legali

La peculiare differenza tra la servitù e il legittimo uso delle parti comuni è stata chiarita dai giudici di legittimità.

Nell’ipotesi in cui sulla cosa comune viene consentito al condomino l’esercizio di un diritto che comporti un vantaggio ulteriore e diverso per  l’unità immobiliare, che si ripercuote in una sostanziale limitazione al diritto che gli altri hanno di usare e di godere a beneficio dei loro rispettivi piani o porzioni di piano, l’ampliamento della utilità corrispettivo alla imposizione del peso sulla cosa comune - costituendo questo un tipico peso imposto ad esclusivo vantaggio di un altro fondo - raffigura una vera e propria servitù, ai sensi dell’articolo 1027 c.c..

L’utilità tratta da tale vantaggio ulteriore è diversa da quella normalmente derivante dalla destinazione impressa al fondo comune, fruita da tutti i comproprietari.

Qualora, invece, l’utilità stessa derivi unicamente dalla natura e dalla pregressa destinazione del fondo in comproprietà non è configurabile una servitù a carico di tale bene, restando disciplinata la misura dell’uso e del godimento di ciascun partecipante alla comunione dal concorrente uso e dal godimento degli altri comproprietari ed è, quindi, regolata dal titolo, nei limiti previsti dalle norme sulla comunione di cui all’articolo 1102 c.c. (Cass. sent. n. 3419 del 1993).

Occorre, infine, porre attenzione sull’ulteriore aspetto che riguarda l’osservanza, nell’ambito condominiale, delle distanze per le  tubazioni stabilite dall’art. 889 u. co. c.c..

Secondo un consolidato orientamento di legittimità, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’art. 889 c.c., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari.

Qualora, pertanto, “esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali” (Cass. sent. n. 12520/2010).
di Luana Tagliolini (Pubblicista) © Riproduzione riservata

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