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Normativa condominio

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La Normativa e il Condominio

Diffamazione molestie stalking condominiale

Diffamazione, molestie e stalking condominiale

Non sempre il dialogo con il vicino di pianerottolo o con chi amministra il condominio è all'insegna di toni pacati e socievoli. Camminando sullo spinoso terreno della convivenza in ambito condominiale, capita molto spesso dunque che si instaurino litigi sulla base di antipatie, di incomprensioni o


DIFFAMAZIONE VS DIRITTO DI CRITICA

L’art. 595 c.p. cita riguardo il reato di diffamazione: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito [c.p. 598] con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065…”.

Molto labile è il confine che passa tra il diritto di critica ed il reato di diffamazione in cui si può incorrere andando a giudicare l’operato altrui. D’esempio il caso di 2 condomini, a carico dei quali il Giudice di Pace di Recanati aveva riconosciuto il reato di diffamazione avvenuta a mezzo lettera indirizzata a tutti gli altri condomini, con la quale i due avevano criticato l’operato dell’Amministratore. La Corte di piazza Cavour, alla quale è stato fatto appello, ha riconsiderato il caso, andando a sottolineare il diritto di critica degli stessi: in proposito la sentenza n.12209 del 2014, Sezione IV Cass. Civ., in cui si legge in merito all’operato del Giudice di Recanati: “…Il tribunale ha ritenuto che il tenore della missiva inviata agli altri condomini apparisse tale da ledere l’onore della persona offesa, dipingendola quale soggetto prevaricatore e incompetente, colluso con soggetti che avevano posto in essere condotte illecite. Ed è forse questo il punto della motivazione che non risulta adeguatamente approfondito, non ponendo a confronto i due diritti in conflitto: quello all’onore della persona offesa e quello alla critica da parte dei condomini. E’ noto, infatti, che in tema di diffamazione, per la sussistenza dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica, è necessario che quanto riferito non trasmodi in gratuiti attacchi alla sfera personale del destinatario e rispetti un nucleo di veridicità, in mancanza del quale la critica sarebbe pura congettura e possibile occasione di dileggio e di mistificazione, fermo restando che l’onere del rispetto della verità è più attenuato rispetto all’esercizio del diritto di cronaca, in quanto la critica esprime un giudizio di valore che, in quanto tale, non può pretendersi rigorosamente obiettivo (Sez. 5, n. 43403 del 18/06/2009 - dep. 13/11/2009, Ruta, Rv. 245098)… La diffamazione viene integrata principalmente quando la critica avviene al di fuori di qualsivoglia funzione di controllo o di denuncia nei confronti della persona offesa e si sostanzia in affermazioni aggressive e gratuite, ingiustificatamente offensive dell’onore della persona. Qualora le critiche, pur aspre, siano ricondotte nell’ambito della funzione esplicata, che viene contestata nel suo operato, più profondo deve essere il giudizio di bilanciamento sugli opposti diritti delle parti, il che si traduce in un più pregnante onere di motivazione, che nel caso di specie è stato solo in parte rispettato. Ne consegue che il ricorso deve essere accolto, con annullamento della sentenza e rinvio ai tribunale di Macerata affinché approfondisca la motivazione in ordine al ritenuto superamento dei limiti del diritto di critica, tenendo conto di quanto sopra osservato”.  La partita è dunque giocata su un filo sottile che separa proprio il diritto di critica e di cronaca dal reato di diffamazione, ove l’arbitro sembra essere il non sforamento ingiustificato nella sfera privata del singolo, andando con ciò oltre l’analisi del pubblico interesse, di quanto rilevato e sottoposto a critica.

Nel 2016 è stato emesso il D.Lgs. n. 7 ove vengono disposti l’abrogazione di reati e le modifiche al codice penale. In particolare al Capo I, art. 1, tra gli altri si dispone in merito all’art. 594 c.p., portando il reato di ingiuria da fattispecie penale ad illecito civile, ferme restando le sanzioni pecuniarie previste. Nello specifico, all’ art. 2. Modifiche al codice penale “…g) all’articolo 596: 1) al comma primo, le parole «dei delitti preveduti dai due articoli precedenti» sono sostituite dalle seguenti: «dal delitto previsto dall’articolo precedente»;…”

Ancora: “2) al comma quarto, le parole «applicabili le disposizioni dell’articolo 594, primo comma, ovvero dell’articolo 595, primo comma» sono sostituite dalle seguenti: «applicabile la disposizione dell’articolo 595, primo comma»; h) all’articolo 597, comma primo, le parole «I delitti preveduti dagli articoli 594 e 595 sono punibili» sono sostituite dalle seguenti: «Il delitto previsto dall’articolo 595 è punibile»;…”. Proseguendo, riguardo alle sanzioni: “Art. 4. Illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie. 1. Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila: a) chi offende l’onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa;”.

Incorrono nel reato di diffamazione sia l’Amministratore, che quei condomini i quali divulgano informazioni relative ad altri condomini, in modalità tale da recare danno agli stessi. Esplicativa in merito la sentenza n.39986 del 2014 ove la Suprema Corte ha condannato per diffamazione due condomini, in merito all’affissione dei nomi dei morosi sulla bacheca condominiale, affissione che i due si erano premurati di curare: “…è stato, correttamente, dato atto che la comunicazione contenente i nominativi dei condomini morosi affissa al portone condominiale, anche in presenza di un effettiva morosità degli stessi condomini, costituiva una condotta diffamante, non sussistendo alcun interesse da parte dei terzi alla conoscenza di quei fatti, anche se veri”. Ossia, il fatto di mettere uno scritto a disposizione di chiunque, anche non condomino, che andasse a transitare per il portone, andava a rendere inutilmente pubblica una notizia atta, in tal modo trattata, solo ad andare a ledere la reputazione dei morosi. 

Si legge di seguito: “Quanto, poi, all’elemento soggettivo del reato, di cui tratta il terzo motivo di ricorso, altrettanto correttamente la Corte territoriale ha evidenziato che, ai fini dell’integrazione del delitto di diffamazione è sufficiente il dolo generico, che può assumere anche la forma del dolo eventuale, ravvisabile laddove l’agente faccia consapevolmente uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive (sez. 5 n. 4364 del 12/12/2012, Rv. 254390)…”. Viene così riconosciuta l’inutilità della comunicazione posta, andando anche ad escludere il diritto di cronaca, ravvisando invece una precisa e consapevole volontà di lesione della reputazione, a carico dei due rei.

Sulla stessa linea la Corte di Cassazione della V Sez. Pen. con sentenza n. 44387 del 2015, sentenza con la quale si riconosce a carico dell’Amministratore di condominio il reato di diffamazione, dopo che questi aveva riportato nella lettera di verbale assembleare per tutti i condomini, le ingiurie pronunciate nel corso di un’assemblea da uno degli intervenuti verso altri due presenti. La motivazione riporta come: “…non aveva alcun interesse per la comunità dei condomini apprendere dei presunti epiteti…”.

La Cassazione riconosce altresì che è reato offendere per lettera l’Amministratore, come da sentenza n. 18919 del 2016, rilevando qui non l’illecito civile dell’ingiuria, bensì il più grave reato penale di diffamazione, portata all’Amministratore tramite lettera destinata a tutti i condomini, ad opera di uno di essi: “…può considerarsi concretata la fattispecie dell’ingiuria aggravata dalla presenza di altre persone…”.

MOLESTIE & CO.

Nella convivenza all’interno di un condominio, vi sono una serie di atteggiamenti che possono dar luogo al reato di molestia.

In particolare, andiamo a considerare l’abitudine di violare la privacy dei vicini, magari spiandoli, piuttosto che andando a gettare nell’altrui proprietà materiale di vario genere, di natura anche pericolosa come cicche di sigarette o materiale corrosivo, nonché oggetti che possono ferire o altro. Tutte queste cattive abitudini possono andare a ledere seriamente la qualità di vita del soggetto verso cui vengono emesse; finanche a creare allo stesso un disagio tale da rilevare uno stato d’impossibilità al corretto e sereno godimento della propria porzione di proprietà, nonché di una serena qualità di vita. Dispone in merito l’art. 660 c.p. “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516”.

La sentenza n.15450 del 2011 della I Sez. Cass. Pen., ha rigettato il ricorso, andando di fatto a confermare la condanna avvenuta, con cui si puniva l’atteggiamento molesto di un condomino nei confronti di un altro. “…Con sentenza del 31 marzo 2010 il Tribunale di Pordenone ha condannato [OMISSIS] alla pena di Euro 600 di ammenda, siccome ritenuto responsabile del reato di cui agli articoli 81, 660 c.p. (avere in più occasioni arrecato molestie ai coniugi [OMISSIS] e [OMISSIS], suoi vicini di casa, posizionandosi su di un terrazzo posto a brevissima distanza dall’appartamento abitato dai predetti, scrutando in continuazione all’interno di esso, che aveva cinque finestre prospicienti su detto terrazzo, in tal modo costringendo le parti offese a tirare i tendaggi ed ad accendere la luce anche in pieno giorno per proteggersi dalla sua intrusione; per avere altresì fatto gesti con la bocca e con le mani a titolo beffardo, in tal modo arrecando fastidio alle parti offese, da lui altresì apostrofate con frasi irridenti, sghignazzi e fischi, quando erano da lui incontrate sulle scale dell’edificio ovvero sulla pubblica via)…”.

La Cass. Pen. III Sez. con la sentenza n. 16459 del 2013 ha rigettato il ricorso di un condomino che era stato condannato per aver a lungo vessato un altro condomino, sulla cui terrazza buttava di continuo cose: di particolare gravità l’abitudine di gettare mozziconi di sigarette e liquidi corrosivi come la candeggina. La Corte ha altresì confermato e ribadito la colpevolezza dell’imputato, come in prima battuta aveva già fatto il competente Foro di Palermo, come si legge. …con sentenza del 2/12/2011, ha dichiarato R.I. colpevole del reato di cui agli artt. 81 e 674 c.p. per avere arrecato molestie a S.S., in quanto abitante nello stesso stabile, aveva gettato nel piano sottostante ove si trovava l’appartamento di quest’ultima, rifiuti, quali cenere e cicche di sigarette, nonché detersivi corrosivi, quale candeggina, e la ha condannata alla pena di euro Euro 120,00 di ammenda….

STALKING CONDOMINIALE

L’art. 612 bis del c.p. in merito al reato di atti persecutori ed il reato di stalking, ha visto applicazione anche in materia condominiale: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita…”. La pena prevista è l’ammenda fino a 516 € in caso di lievi molestie, fino alla reclusione da 6 mesi a 4 anni per gravi atti.

Dapprima previsto per la tutela del singolo relativamente soprattutto a reati di tipo sentimentale affettivo, lo stalking è stato progressivamente esteso verso forme diverse dalla pura relazione sentimentale, o presunta tale nei confronti del singolo. Da qui si è proceduto verso un ulteriore ampliamento, identificando una vera e propria tipologia di reato erga omnes, basato su una sorta di tortura psicologica e violenza morale ai danni del prossimo, atta a procurare ripercussioni sulla di questi salute e sulla vita quotidiana. Un primo passo concreto verso la configurazione del reato di stalking in condominio è rappresentato dalla sentenza n.20895 del 2011 ad opera della V sez. della Cass. Pen. Il caso in questione riguardava una condotta persecutoria posta in essere da un condomino nei confronti di due vicine di casa; si riconosce altresì un comportamento reiterato e rivolto a persone diverse, non solo verso una sola, del genere femminile: è stata rilevata la percezione delle vittime di sentirsi in uno stato di minaccia potenziale e ripetuta. Non solo, in virtù di quanto emerso, è stato anche riconosciuto lo stesso potenziale pericolo verso tutte le appartenenti allo stesso genere e residenti nello stabile. Nel giudicare il fatto si ponevano di fronte l’art 612 bis c.p. ed il 610 c.p. “…Finalmente se la norma incriminatrice di cui all’art. 612 bis è speciale rispetto a quelle che prevedono reati di minaccia o molestia, non lo è rispetto all’art. 610 c.p. La violenza privata anzitutto può essere commessa con atti per sé violenti ed è poi soprattutto finalizzata a costringere la persona offesa a fare, non fare, tollerare o omettere qualche cosa, cioè ad obbligarla ad uno specifico comportamento.

La previsione dell’art. 610 c.p. perciò non genera solo il turbamento emotivo occasionale dell’offeso per il riferimento ad un male futuro, ma esclude la sua stessa volontà in atto di determinarsi nella propria attività, d’onde il quid pluris di cui all’art. 610 c.p..

In questa luce risulta in conclusione incensurabile la sentenza sia nell’aver ravvisato lì concorso di reati, sia nel ritenere taluni atti turbativi di persone diverse, oltre il soggetto coinvolto dalla singola condotta, sia nel motivare la responsabilità per i fatti ritenuti”.

In merito al reato di stalking condominiale, anche in considerazione dell’impedimento di una sana e godibile vita in spazio in comproprietà, può essere considerato quanto disposto dalla Cass. Pen., Sez. V, con sentenza n.39933 del 2013, in cui si è confermato un intento persecutorio reiterato e volontario, che ha portato proprio alla modifica di una vita relazionale all’interno di una situazione di convivenza in Condominio: “La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 5-4-2012, confermando quella del Tribunale di Brescia, sez. dist. di Breno in data 14-7-2011, riconosceva F.M. responsabile del reato di atti persecutori, commesso fino alla ‘data odierna’, in danno del fratello S.M., realizzato insozzando quasi quotidianamente l’abitazione ed il cortile di proprietà di quest’ultimo gettandovi rifiuti di ogni genere, cagionandogli in tal modo un perdurante e grave stato d’ansia e il fondato pericolo per l’incolumità, al punto che la p.o. si trasferiva altrove per alcuni periodi e rinunciava a coltivare presso la propria abitazione relazioni con i terzi”.

Dal Tribunale di Genova è arrivata nel 2015 la prima sentenza con cui si è nettamente riconosciuto il reato di stalking condominiale. Qui si configurava la specie di comportamento persecutorio fino a minacce di morte, di condomini nei confronti dei loro vicini. Tale condotta aveva portato dapprima a pesanti modifiche dello stile di vita dei due coniugi vessati, fino alla decisione degli stessi di lasciare il condominio a seguito delle ricevute minacce di morte verso il loro figlioletto. Di qui la decisione del Tribunale di vedere un preciso intento persecutorio reiterato ed aggravato da futili motivi, consumato all’interno di un condominio, nel caso in oggetto nato per il diritto al godimento di uno spazio comune.

La giurisprudenza si è mossa rapidamente e la Cass. Pen. Sez. V, sentenza n. 26878 del 2016 ha di fatto confermato la misura di reclusione preventiva per la violazione di un condomino riguardo a quanto previsto all’art. 612 bis c.p. nei confronti di un altro condomino.

“…1.1 Applicando tale criterio di valutazione alla fattispecie in esame va osservato che il Tribunale ha operato un sintetico ma esauriente esame della credibilità del querelante, escludendo la presenza di intenti calunniatori o di contrasti economici e valorizzando razionalmente il fatto che le sue ripetute querele, pertanto, erano state originate da una reale esasperazione derivante dalle condotte dell’indagato che aveva denunziato.

1.2 Dal testo del provvedimento – che ha passato in rassegna gli omogenei contenuti delle plurime denunce e querele sporte dalla persona offesa – è apprezzabile un implicito giudizio di attendibilità delle accuse nei confronti del ricorrente, del resto riscontrate più volte anche da interventi della Polizia Giudiziaria.

1.3 Con motivazione adeguata e logicamente ineccepibile il provvedimento impugnato ha dato conto, altresì, delle conseguenze sulla condizione di vita della persona offesa costretta ad assentarsi dal lavoro ed assumere tranquillanti, ravvisando in esse gli eventi del mutamento delle abitudini e dell’insorgere di un grave stato d’ansia. Tale deduzione è coerente con la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la prova dell’evento del delitto in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata. Sez. 5, Sentenza n. 14391 del 28 febbraio 2012 c.c. (dep. 16 aprile 2012) Rv.252314…”.

Ad integrazione un’altra sentenza, la n.35778 del 2016 con cui la V Sez. Pen. della Corte di Cassazione, ha rilevato il reato d stalking, da configurarsi come tale anche se la vittima sottoposta a stress ed ansia non porta cambiamenti di stile di vita. 

Singolare e certamente oggetto anche di accesa discussione il caso di un’amministratrice di un condominio di Novara che ha dapprima fatto un esposto nel 2012 e che nel 2016 è arrivata ad un processo per stalking contro un condomino reo di continue richieste di revisione del suo operato, nella convinzione che la stessa ponesse in essere una condotta non lecita. L’amministratrice denuncia un atteggiamento eccessivo di controllo, sfociato anche in atti persecutori. Il condomino reo (che sembra aver tenuto tale condotta anche verso i 3 precedenti amministratori), ha ribattuto di aver solo posto in essere il suo diritto di controllo e revisione dell’operato dell’amministratore.

In attesa di sentenza definitiva, va detto che anche il nuovo amministratore ha presentato denuncia di stalking verso il condomino imputato, il quale continua con lo stesso modus operandi nei confronti dell’operato dell’amministrazione.
di Fabiana Carucci (Giornalista pubblicista freelance) © Riproduzione riservata

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