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Normativa condominio

Normativa condominio

La Normativa e il Condominio

Inderogabilità maggioranze deliberanti

Inderogabilità delle maggioranze deliberanti

All'interno del condominio la disciplina del metodo collegiale e del principio di maggioranza risponde a criteri specifici; il che comporta che le maggioranze occorrenti per la validità delle delibere in tema di gestione in nessun caso possono modificarsi in meno (Cass. sent. n.19131/2015)


INDEROGABILITÀ DEI QUORUM COSTITUTIVI E DELIBERATIVI

La legge di riforma sul condominio, la n. 220/2012, non ha modificato i principi che regolano i quorum deliberativi e costitutivi, determinati con rife­rimento sia all’elemento personale (i condomini partecipanti all’assemblea e, in alcuni casi, partecipanti al condominio) sia all’elemento reale (il valore della proprietà espresso in millesimi).

Il quorum costitutivo, di prima convocazione, si compone della maggioranza dei partecipanti al condominio che rappresentino i due terzi del valore dell’in­tero edificio, in seconda convocazione, di un terzo dei partecipanti al condo­minio che rappresentino almeno un terzo del valore dell’intero edificio.

I quorum deliberativi cambiano in base al tipo di delibera che deve essere assunta, comunque, dalla maggioranza dei condomini.

Il principio maggioritario è un principio specifico del condominio che vale a distinguerlo dalla disciplina della comunione e della società in quanto, solo nel condominio, è previsto che la maggioranza venga raggiunta dalle persone (teste) e dal valore patrimoniale (millesimi).

I quorum sono immodificabili e la ragione della inderogabilità “in meno” delle maggio ranze «è quella di impedire che, tramite il principio maggioritario, in qualche misura, vengano menomati i diritti dei singoli partecipanti sulle parti comuni e il godimento delle unità immobiliari in proprietà esclusiva. Perciò, i quo rum sono fissati in misura inderogabile (in meno), richiedendosi per le de­cisioni di particolare importanza il concorso di un numero considerevole di par­tecipanti e di una frazione consistente del valore dell’edificioÈ (Cass. sent. n.19131/2015, sent. n. 1201/2002).

L’articolo 1138 u. co. c.c. dispone che Çle norme del regolamento non pos­sono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli… 1136 c.c. (Cass. sent. n. 11268/1998).

Le maggioranze, quindi, non possono essere modificate “in meno”, neanche per contratto ossia con una clausola contrattuale contenuta nel regolamento di condominio né con il consenso unanime dei partecipanti al condominio.

Se l’assemblea non può deliberare perché non si raggiunge la maggioranza prescritta non si può attribuire alla minoranza un ingiustificato potere di deli­berare perché sovvertirebbe gli equilibri fissati, sulla base di elementi personali e reali, dalle regole concernenti il metodo collegiale e il principio maggiorita­rio.

In tale eventualità  si può ricorrere alla norma contenuta nell’articolo 1105 c.c. in tema di comunione - richiamabile ai sensi dell’articolo 1139 c.c. - il quale dispone che se non si forma una maggioranza, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria.

In condominio, pertanto, vige la regola generale della inammissibilità di qualsivoglia delibera assunta con maggioranze inferiori a quelle previste dalla legge e, per contro, non si contempla,  nessuna ipotesi nelle quali, ai fini dei quorum costitutivo e deliberativo, non si debba tener conto di tutti i parteci ­panti e di tutte le quote millesimali.

L’ormai consolidata giurisprudenza ritiene che, per potersi parlare di deli ­bera valida, il raggiungimento del quorum minimo previsto dalla legge non è sufficien te, in quanto la maggioranza deve essere tale non solo relativamente al numero dei votanti a favore (maggioranza deliberante) ma anche relativa­mente al valore millesi male del bene da essi rappresentato; cioè «è necessario che coloro che abbiano votato contro l’approvazione non siano rappresentativi di un valore maggiore – mille simale – rispetto agli altri, anche se numerica­mente inferiori (Cass. n. 6625/2004).

È evidente, quindi, che «per l’approvazione delle delibere assembleari in seconda convocazione devono sussistere entrambi i quorum previsti dal comma 3 dell’art. 1136 c.c. e entrambi devono risultare maggioritari, rispetto al numero e alla rappresentatività dei partecipanti contrari all’approvazioneÈ (Cass., Sent. n. 6625, cit.).

La motivazione posta alla base di tale deduzione starebbe nel fatto che, di­versa mente, ai fini dell’approvazione delle delibere, si conferirebbe una rile­vanza maggio re al numero dei votanti (teste) rispetto al valore che essi rappresentano (millesi mi): in tal modo si vanificherebbe  la sostanziale diffe­renza che c’è tra la comunio ne, dove prevalgono le quote (cioè il capitale), e il condominio, contraddistinto dall’equilibrato rapporto capitale (millesimi) e persone (teste).

La delibera assunta in una assemblea, in cui sussista una situazione pari­taria di teste votan ti a favore e contro, è inesistente, a prescindere dal quorum deliberativo rappresentato, perché non sussiste la maggioranza deliberante che, ovviamente, presuppone una minoranza.

Le delibere che presentano vizi relativi alla regolare costituzione dell’as­semblea o adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge sono annullabili ex art. 1137co. 2, c.c. (Cass. S.U. sent. n. 4806/2005).

QUORUM E CONFLITTO DI INTERESSE

In presenza di conflitto di interessi tra il condominio e taluni condomini, si pone il problema delle maggioranze costituenti il quorum deli berativo, ossia, se debbano essere calcolate con riferimento a tutti i condomini ed al valore dell’intero edificio; ovvero soltanto ai condomini ed ai millesimi facenti capo ai singoli partecipanti, i quali non versano in conflitto di interessi relativamente alla delibera.

Ci si chiede, cioè, se nel calcolo della maggioranza richiesta per approvare la delibera, debba o no tenersi conto dei condomini e dei millesimi facenti capo ai partecipanti in conflitto di interessi.

In condominio, l‘ipotesi del potenziale conflitto di interessi tra il condominio ed i singoli partecipanti non è regolata.

In passato, la giurisprudenza aveva attinto la soluzione dalla normativa sulle società di capitali la quale prevedeva – prima della riforma – che, in caso di conflitto di interesse, il quorum deliberativo doveva essere computato, non già in rapporto all’intero capitale sociale, bensì in relazione alla sola parte di capitale facente capo ai soci aventi diritto al voto, con esclusione della quota dei soci che versino in conflitto di interessi (Cass. sent. n. 15613/2007) nonché l’impugnazione della delibera, qualora, senza il voto dei soci che avrebbero dovuto astenersi, non si sarebbe raggiunta la maggioranza necessaria.

Tuttavia, già con la sentenza n.1201 del 2002 i giudici di legittimità avevano evidenziato l’impossibilità di applicare tale normativa, stante la sostanziale dif­ferenza tra i due istituti, condominio e società, per obbiettivi e metodi e so­prattutto perché nel condominio non esiste un fine gestorio perché la gestione delle cose comuni non mira a conseguire uno scopo proprio del gruppo e di­verso da quello dei singoli partecipanti.

Per sorgere “conflitto” tra il condomi nio ed il singolo condomino è necessa­rio che questi sia portatore, allo stesso tempo, di un duplice interesse: uno come condomino ed uno come estraneo al condo minio (e, che l’interesse sia estraneo al godimento delle parti comuni ed a quello delle unità abitative site nell’edificio) e che i due interessi non possano soddisfarsi contemporanea­mente, ma che il soddisfacimento dell’uno comporti il sacrificio dell’altro.

Il conflitto di interesse, pertanto deve essere concreto e provato e non solo supposto.

I giudici di legittimità hanno precisato che le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rap­porto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del con­teggio del quorum costitutivo sia a quello deliberativo compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio quali possono (non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto.

Anche in conflitto di interesse, quindi, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentino la maggioranza personale e reale fissata dalla legge e, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento collegiale, ciascun partecipante può ricorrere all’Autorità giudiziaria (Cass. sent. n. 19131 cit.).

E’ bene precisare che per i condomini in conflitto non c’è un obbligo di astensione ma bensì una facoltà, tanto che qualora partecipassero  alla vota­zione gli altri condomini non potrebbero fare altro che impugnare la delibera salvo che, pur sussistendo il conflitto d’interessi - ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini -il voto di questi ultimi non abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico interesse contrario a quello istituzionale del condominio (Cass. sent., n. 10754/2011).

Sulla stessa scia, la riforma del diritto societario (d. lgs n. 6/2003) che, nel rimodulare l’art. 2373 c.c., ha previsto che la delibera assunta con il voto de­terminante di coloro che abbiano un interesse in conflitto con la società è im­pugnabile, facendo venir meno la disposizione che tendeva a distinguere il quorum costitutivo dell’assemblea da quello deliberativo della stessa e che vietava, al socio in conflitto di interesse, di votare.


di Luana Tagliolini (Pubblicista) © Riproduzione riservata

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