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Normativa condominio

Normativa condominio

La Normativa e il Condominio

conferimento incarico amministrazione a società

Il regolamento di condominio può vietare di conferire l'incarico di amministratore ad una società

In una causa in cui si discuteva solo di... spese legali, i magistrati di Piazza Cavour, con la recente sentenza n. 24432 del 30 novembre 2016, hanno colto l'occasione per affermare un importante principio che concerne i limiti della potestà regolamentare con riferimento all'amministratore


La fattispecie esaminata dal Supremo Collegio

In una causa in cui si discuteva solo di… spese legali, i magistrati di Piazza Cavour, con la recente sentenza n. 24432 del 30 novembre 2016, hanno colto l’occasione per affermare un importante principio che concerne i limiti della potestà regolamentare con riferimento all’amministratore, segnatamente riguardo al conferimento dell’incarico ad una società (prima oggetto di dibattito giurisprudenziale delle quasi coeve Cass. 9 giugno 1994, n. 5608 e Cass. 24 dicembre 1994, n. 11155, superato nel senso della legittimità di tale conferimento da parte di Cass. 24 ottobre 2006, n. 22840, e oggi consacrato a livello legislativo a seguito del novellato art. 71-bis, comma 3, disp. att. c.c., come inserito dalla legge n. 220/2012).

I giudici di merito avevano dichiarato la cessazione della materia del contendere sulla legittimità della delibera dell’assemblea - impugnata da un condomino, ma poi revocata - con la quale una determinata società era stata nominata amministratore del condominio e, in forza della c.d. soccombenza virtuale, avevano condannato il condominio convenuto a rifondere all’attore le spese del giudizio.

Per la cassazione della sentenza di appello, ricorreva quest’ultimo articolando due ordine di motivi.

Preliminarmente, gli ermellini hanno rigettato l’eccezione con la quale il condomino resistente aveva dedotto l’inammissibilità del ricorso ex adverso proposto per difetto di interesse: invero, seppure fosse cessata la materia del contendere nel merito della causa, sussisteva l’interesse del condominio ricorrente ad impugnare la sentenza di appello, che aveva appunto accertato la soccombenza virtuale, in ragione della condanna alle spese che ne era conseguita.

Passando al merito del ricorso, il condominio, innanzitutto, aveva denunciato segnatamente la violazione degli artt. 1129, 1105 e 1138 c.c. - oltreché degli artt. 3, 41 e 42 Cost. nonché 85 del Trattato istitutivo CEE - per avere la Corte territoriale ritenuto che il regolamento del condominio - nel prevedere che “l’amministratore dovrà essere un libero professionista iscritto al rispettivo albo e/o associazione, ordine o collegio di appartenenza“ - potesse derogare alle norme di legge che regolavano la nomina dell’amministratore, vietando che tale nomina fosse conferita ad una società di persone; si lamentava anche che il giudice distrettuale aveva interpretato il regolamento condominiale nel senso che vietasse la nomina ad amministratore di una società di persone e che, comunque, ferma tale interpretazione, non avesse ritenuto nullo il regolamento condominiale sul punto.

Tali censure sono state ritenute infondate.

Invero, non sussiste alcuna violazione di legge nella previsione del regolamento condominiale che stabilisca le caratteristiche, i requisiti ed i titoli che deve avere l’amministratore del condominio: in tema di condominio negli edifici, l’art. 1138, comma 4, c.c., pur dichiarando espressamente non derogabile dal regolamento - tra le altre -  la disposizione dell’art. 1129 c.c., la quale attribuisce all’assemblea la nomina dell’amministratore e stabilisce la durata dell’incarico, non preclude però che il regolamento condominiale possa stabilire che la scelta dell’assemblea debba cadere su soggetti (persone fisiche o persone giuridiche) che presentino determinare caratteristiche, requisiti o titoli professionali.

Inoltre, il condominio ricorrente deduceva la violazione dei canoni ermeneutici di interpretazione del contratto di cui agli artt. 1362 ss. c.c., per non avere la Corte d’Appello considerato che la società in accomandita semplice - nominata con la delibera, poi impugnata ma successivamente revocata - era composta da professionisti (un ragioniere, un architetto, un perito industriale), come tale perfettamente equiparabile alle persone fisiche.

Anche questa censura non è stata considerata meritevole di accoglimento dagli ermellini, non potendosi equiparare il conferimento dell’incarico di amministratore ad una società (sia pure di persone) con il conferimento dell’incarico ad una persona fisica.

I requisiti di onorabilità e professionalità
dell’amministratore

Il nuovo art. 71-bis, comma 1, disp. att. c.c. stabilisce i requisiti necessari per svolgere l’incarico di amministratore di condominio: si tratta di requisiti di onorabilità (si pensi all’inesistenza di condanne per particolari reati o alla mancata annotazione nell’elenco dei protesti cambiari) e di professionalità (si pensi al possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado o alla frequentazione di corsi di formazione/aggiornamento, questi ultimi oggetto di disciplina da parte del decreto 13 agosto 2014, n. 140 del Ministero della Giustizia contemplato dall’art. 1, comma 9, lett a, della legge 21 febbraio 2014, n. 9, di conversione del decreto-legge c.d. destinazione Italia).

Posto che tale norma non è contemplata tra quelle inderogabili, sorge il dubbio se un regolamento possa ammettere la possibilità di nominare un amministratore, per assurdo, ignorante, incompetente o pluripregiudicato.

In realtà, nei resoconti dei lavori parlamentari, si è evidenziato che l’auspicio fosse quello di esaltare il profilo di professionalità e responsabilizzazione dell’amministratore “a tutela non solo del condominio e dei condomini, ma anche del vivere sociale”, nonché “della libera concorrenza e del libero mercato”.

Stando così le cose, sembra che l’art. 71-bis disp. att. c.c. costituisca una norma di ordine pubblico, per la sua incidenza su interessi generali della collettività - ossia la finalità di assicurare, nei condominii, amministratori meritevoli di fiducia nonché provvisti di esperienza e capacità, per esigenze di rilievo anche pubblicistico - e, in quanto tale, dovrebbe avere carattere imperativo.

Ne consegue l’inderogabilità assoluta di tale norma, per cui la relativa disciplina non può subire modifiche neppure in base a regolamenti contrattuali.

Sarebbe nulla, pertanto, la clausola che consenta la nomina, quale amministratore, di persona priva dei requisiti di onorabilità/professionalità o la clausola che privasse l’assemblea del potere di sancire la decadenza del medesimo amministratore che abbia perso, nel corso dell’esercizio, alcuno dei prescritti requisiti (art. 71-bis disp. att. c.c., rispettivamente, commi 1 e 4).

Invero, la preparazione tecnico-culturale dell’amministratore e la sua periodica formazione costituiscono un indubbio presupposto per il corretto e proficuo adempimento del relativo mandato gestorio, il cui espletamento risponde ad esigenze generali che travalicano gli stretti confini della compagine condominiale, sicché la previsione di cui all’art. 71-bis disp. att. c.c., anche se non richiamata espressamente dall’art. 1138, comma 4, c.c. o dall’art. 72 disp. att. c.c., è insuscettibile di deroga a livello assembleare, anche in assetto totalitario, riguardo al possesso dei requisiti condizionanti la possibilità di “svolgere l’incarico di amministratore di condominio”.

I limiti della potestà regolamentare

Rimane, invece, consentito all’assemblea - competente in via primaria sulla nomina/revoca ex art. 1129 c.c. - e, a monte, al regolamento, di stabilire re-quisiti di eleggibilità dell’amministratore (e correlate cause di decadenza) diversi ed ulteriori rispetto a quelli indicati nel citato art. 71-bis.

In quest’ottica va letta la pronuncia in esame, nel senso che attualmente è possibile nominare una società come amministratore di condominio, ma nulla esclude che i condomini possano prevedere l’esclusiva di tale incarico soltanto a favore di persone fisiche (d’altronde, il comma 3 stabilisce che “possono”, non devono, svolgere l’incarico di amministratore anche le società).

In particolare, il predetto regolamento potrebbe contemplare delle incompatibilità, ossia delle situazioni ostative alla carica di amministratore che inducano a ritenere (o semplicemente sospettare) che l’espletamento del mandato da parte del soggetto designato non si svolga secondo le esigenze del condominio e non dia garanzie di serietà, integrità morale, correttezza e lealtà; lo stesso regolamento potrebbe prescrivere dati requisiti in capo al nominando, come svolgere certe funzioni in relazione ai servizi che quel condominio necessita, ad esempio, giardiniere, custode, ecc., oppure essere in possesso di determinati titoli di studio ulteriori, ad esempio, avvocato, ingegnere, dottore commercialista, ecc.

In quest’ordine di concetti, appare legittimo, ad esempio, il patto con cui si stabilisca che l’amministratore debba essere sempre un condomino, in quanto la previsione di un conflitto di interessi che potrebbe sorgere in occasione dell’approvazione della relativa gestione non costituisce valido motivo per negare la possibilità di tale opzione, senza considerare che una cattiva gestione, finalizzata al proprio tornaconto, finirebbe con il provocare danni anche allo stesso condomino; se si è optato per un condomino, ovviamente, sarebbe invalida la disposizione che contempli una qualsiasi discriminazione tra i relativi partecipanti, preferendo dati condomini (ad esempio, quelli che originariamente costituirono il condominio), oppure escludendone altri (si pensi a quelli che non raggiungono una determinata caratura millesimale).

Non si esclude, inoltre, che il regolamento - specie nei piccoli condominii - possa, anche per ragioni di giustizia distributiva e di economia, stabilire l’obbligo per tutti i condomini di esercitare, a turno, le funzioni di amministratore (di solito gratuitamente); in tal caso, dubbi potrebbero sorgere qualora l’assemblea decida di confermare l’amministratore uscente, o di nominare un altro condomino sovvertendo il concordato turn over.

E’, poi, possibile (e talvolta auspicabile) che il regolamento imponga che sia un estraneo a ricoprire la carica di amministratore, possibilità peraltro ricavabile anche dall’art. 1106 c.c. - norma prevista per la comunione, ma applicabile al condominio in forza del rinvio di cui all’art. 1139 c.c. - il quale prevede l’eventualità che l’amministrazione possa essere delegata anche ad un estraneo.

Al riguardo, si è precisato - v. Cass. 12 gennaio 1978, n. 124; Cass. 12 marzo 1974, n. 864 - che, qualora il regolamento, anche contrattuale, contenga disposizioni relative alla nomina dell’amministratore, tali clausole hanno natura strettamente “regolamentare”, in quanto sono rivolte a disciplinare l’organizzazione e la gestione dell’ente comune, senza incidere sui diritti dei singoli partecipanti, conseguendone che la modifica di tali disposizioni non richiede il consenso unanime dei condomini, ma può essere validamente disposta con deliberazione maggioritaria dell’assemblea (v., altresì, Trib. Roma 4 luglio 1997, in Nuovo dir., 1998, 45, il quale ha precisato che le delibere condominiali non fondano alcun diritto all’immodificabilità della loro disciplina ed ogni regola potrebbe caducarsi dalla successiva se provenga dallo stesso organo o annoveri analoga forza, così, qualora sia stato convenuto che ogni condomino a turno svolga l’incarico di amministratore, può modificarsi tale criterio e nominare l’amministratore esterno).

Corre l’obbligo, tuttavia, di restringere la portata di queste puntualizzazioni a quelle clausole che interessano, ad esempio, la persona fisica che deve ricoprire la carica di amministratore, e non estenderla all’istituto stesso della nomina.

Invero, il penultimo comma dell’art. 1138 c.c. richiama in toto l’art. 1129 c.c. - rubricato “nomina, revoca ed obblighi dell’amministratore” (e non più solo “nomina e revoca”) - il quale, a seguito della Riforma del 2013, si presenta notevolmente arricchito nei suoi contenuti precettivi, sicché si ritiene opportuno analizzare tale richiamo selezionando partitamente gli aspetti più rilevanti.

Tuttavia, è ragionevole ritenere che, sebbene l’art. 1129 citato sia considerato come “inderogabile” dal successivo art. 1138, non si possa escludere che il regolamento, anche assembleare, contenga specificazioni o integrazioni al disposto codicistico, pur sempre senza limitare i diritti dei singoli (v. L. Salciarini, Il regolamento e le tabelle millesimali, in La riforma del condominio, Milano, 2013, 42).

In quest’ottica, ad esempio, si potrebbe: a) prevedere la necessità di comunicazione di “dati” ulteriori rispetto a quelli stabiliti dall’art. 1129, comma 2, c.c. (anagrafici e professionali); b) prescrivere in maniera definitiva (e non solo volta per volta) l’obbligatorietà della presentazione della polizza dell’assicurazione per la responsabilità civile professionale; c) disciplinare le modalità con cui è affissa la c.d. targa dell’amministratore (nel luogo di accesso al condominio o di maggiore uso comune); d) specificare la tipologia di conto corrente da adottarsi per la gestione dell’edificio (e per la costituzione del fondo speciale di cui all’art. 1135, n. 4, c.c.); e) contenere la “dispensa” (di cui al comma 9 dell’art. 1129 c.c.) dall’obbligo di riscossione forzosa dei contributi condominiali entro il termine di sei mesi dalla chiusura dell’esercizio; f) precisare particolari modalità per la redazione e la presentazione del preventivo relativo al suo incarico (alla luce della specificazione analitica del compenso di cui all’art. 1129, comma 14, c.c.).

La nomina appannaggio esclusivo dell’assemblea

Dunque, il novellato comma 1 dell’art. 1129 c.c. prevede che, “quando i condomini sono più di otto” - soglia irrazionalmente elevata rispetto agli originari quattro del regime ante legge n. 220/2012 - l’assemblea nomina un amministratore, e tale obbligatorietà viene confermata dalla possibilità di ricorrere al giudice per la nomina dell’amministratore medesimo qualora l’assemblea non provveda (la relativa legittimazione viene ora estesa all’amministratore dimissionario, oltre che ai singoli condomini).

I motivi che hanno indotto il Legislatore a pretendere un organo ad hoc quando la comunione edilizia raggiunga una certa dimensione prescindono così dall’interesse dei singoli proprietari, e tendono a realizzare un interesse di carattere sociale: una sua derogabilità, infatti, minaccerebbe del tutto la vita del condominio, essendo, peraltro, una disposizione che attiene alla dinamica del condominio stesso; tale divieto vale anche per i regolamenti contrattuali, in quanto è sempre interesse del condominio come tale avere un amministratore stabile (così G. Branca, Regolamenti di condominio e inderogabilità di norme, in Foro it., 1961, I, 768, secondo il quale “neanche i singoli condomini unanimamente potrebbero rinunciare a questo interesse collettivo, non potendo far sì che il condominio esista senza la persona che ne manifesta la volontà”); non si nasconde, però, che il limite di cui all’art. 1129, comma 1, c.c., attinente solo al numero dei partecipanti, potrebbe apparire discutibile, poiché trascura arbitrariamente la consistenza del condominio, nel senso che vi potrebbe essere un numero esiguo di condomini in un complesso molto ampio, necessitante, per ragioni pratiche, di un amministratore.

Trattasi, comunque, di norma inderogabile alla stregua di quanto disposto dall’art. 1138, comma 4, c.c., conseguendone l’invalidità di eventuali clausole del regolamento (anche avente natura contrattuale) dirette a derogare al principio dell’obbligatorietà della nomina dell’amministratore da parte dell’assemblea per i condominii che abbiano più di otto partecipanti: ciò vale per una disposizione regolamentare che escluda tout court la nomina dell’amministratore, o che consenta ad una deliberazione di sottrarre all’amministratore medesimo tutte le sue funzioni perché ciò equivarrebbe ad una sostanziale revoca.

Succede, talvolta, che il costruttore inserisce nel regolamento - al fine limitato di consentire l’immediata funzionalità dei servizi e la gestione delle cose comuni - una clausola in base alla quale si riserva, per un certo periodo (di solito, superiore all’anno), la nomina dell’amministratore (ad esempio, finché rimane proprietario anche di una sola unità immobiliare, ma stesso discorso vale con riferimento al patto che conferisce ad un singolo condomino tale potere); in base alle considerazioni che precedono, tale clausola è nulla per il carattere inderogabile del principio contenuto nell’art. 1129, comma 1, prima parte, c.c. sulla necessità della nomina dell’amministratore da parte dell’assemblea quando i condomini siano più di otto, o, più precisamente, è sin dall’inizio priva di effetti se i condomini, intesi come proprietari pro diviso delle singole parti dell’edificio medesimo, siano originariamente almeno nove, e, diversamente, diventa inefficace nel momento in cui i condomini raggiungano quel numero (v. Cass. 3 agosto 1966, n. 2155, in Giust. civ., 1966, I, 2120).

Quindi, l’efficacia della “riserva” della nomina dell’amministratore è temporalmente limitata ed opera sino a quando subentra la disciplina legale, ossia fino alla sopravvenuta pluralità dei condomini a più di otto; in tale momento, alla “regolazione predisposta” si sostituisce la normativa inderogabile e, di conseguenza, l’assemblea si riappropria dei propri diritti/doveri, primo fra tutti quello di nominare l’amministratore, venendo meno la fonte di legittimazione di quello riservato, che non dovrà, a stretto rigore, essere revocato, bastando una presa d’atto della cessazione ex lege (v. Cass. 24 maggio 2013, n. 13011, in Giur. it., 2014, 281, con nota di P. Scalettaris).

Pertanto, da questa sopravvenuta inefficacia della clausola di riserva trae origine il potere dell’assemblea di convocarsi immediatamente, o per opera dello stesso amministratore caducato, o per iniziativa di almeno due condomini ex art. 66, comma 1, disp. att. c.c., oppure, in caso di inerzia, essendo il condominio privo di rappresentante e non avendo l’organo a ciò deputato voluto o potuto provvedere, dovrebbe essere il giudice a nominare l’amministratore su ricorso di uno o più condomini ai sensi dell’art. 1129, comma 1, c.c. (v. F. Lazzaro - W. Stingardini, L’amministratore del condominio, Milano, 1982, 45, i quali non escludono che possa essere nominato dall’assemblea la stessa persona fisica che aveva provveduto in precedenza all’amministrazione del condominio, senza però che possa utilizzarsi l’istituto della conferma, essendo diversa la fonte di legittimazione delle relative funzioni).

Del resto, il Legislatore, nella disciplina del condominio, ha inteso tener conto del suo interesse sociale, stabilendo che la volontà unanime dei condomini non possa immobilizzare, in via permanente, una gestione stabilita ad un dato momento della vita del condominio, posto che le condizioni di questo possono, via via, sconsigliare una persona diversa da quella indicata come normale dalla legge; un eventuale patto di riserva della nomina dell’amministratore è, dunque, in aperto contrasto con le citate disposizioni inderogabili, perché l’assemblea verrebbe privata della sua funzione e dei suoi poteri, e anche perché basterebbe la volontà del costruttore di non vendere l’ultima unità immobiliare - riservandosela, ad esempio, a studio professionale - per togliere ogni limite temporale al suo privilegio.


di Alberto Celeste (Magistrato) © Riproduzione riservata